I Sorbi, un concentrato di virtù

I Sorbi, un concentrato di virtù

 

“So’ le sorbe e le nespole amare,
So’ le sorbe e le nespole amare,
ma lo tiempo le fa maturare
e chi aspetta se ll’adda magnà …”

Roberto Murolo

 

Sorbole!, o meglio: Sciorbole!: era, questa, una candida esclamazione di stupore, di origine emiliano-romagnola (oggi sostituita da termini meno delicati), i cui protagonisti sono le sorbe (i frutti del Sorbo comune). Che, come le nespole (quelle nostrane, non le insipide nespole giapponesi) non sono commestibili appena colte poiché hanno un sapore acerbo e la loro polpa è dura e, quindi, per diventare eduli devono subire un periodo di ammezzimento (si tratta in pratica di un principio di decomposizione) che le rende morbide e saporite. Per tale motivo oggi non hanno più mercato. Non cercatele, dunque, sul banco del fruttivendolo: non le trovereste.

Noti da tempi antichissimi, i Sorbi (genere Sorbus, famiglia Rosaceae) sono oggi quasi dimenticati, ed è un peccato perché si tratta di alberi molto belli e utili. Il Sorbo coltivato, poi, sta ormai scomparendo dalle nostre campagne.

 

 Frutti di Sorbo

I loro frutti (in particolare quelli del Sorbo comune) sono ricchi di proprietà (astringenti, diuretici, detergenti, rinfrescanti, tonificanti) e si utilizzano nella preparazione di sidro, confetture, liquori e salse. Il sorbitolo (un alcol esavalente molto usato dall’industria alimentare per la sua capacità idrostabilizzante, utile nei prodotti che devono trattenere acqua come per esempio gelatine, creme, frutta candita, gelati) prende il nome proprio dalle sorbe, frutti in cui è presente in discrete quantità; è anche utilizzato dai diabetici come succedaneo dello zucchero.

I fiori sono molto graditi alle api; i frutti costituiscono una importante riserva di cibo per la fauna (merli, tordi e tanti altri animali) attiva durante l’inverno. Il loro legno, duro e incorruttibile, è l’ideale per piccoli lavori d’intaglio.

I Sorbi meriterebbero una maggiore attenzione e un più incisivo impiego nei parchi e nei giardini, essendo molto ornamentali: in primavera,  quando si ammantano con il bianco dei loro fiori, e in autunno, quando, con l’ingiallimento delle foglie, nell’ambito  del divenire cromatico del bosco, assumono la veste di eleganti protagonisti mostrando le mille sfumature del sole. E’ il Sorbo degli uccellatori, con il giallo intenso delle sue foglie pennate ed il rosso lacca dei piccoli pomi, irrefrenabile richiamo per gli uccelli che se ne cibano, a vincere il festival dei colori,  incalzato, per bellezza, dal Sorbo montano. Nel periodo primaverile-estivo è invece quest’ultimo a contendergli il primato con le sue foglie, superiormente lucide, di un bel verde scuro, e inferiormente ricoperte da un tomento argenteo.

I frutti dei Sorbo comune, le sorbe, erano conosciuti già al tempo dei Romani che ne apprezzavano la tenerezza e la dolcezza, soprattutto nella preparazione dei liquori. Citazioni sulla coltivazione dei Sorbi sono presenti nei classici latini che si occupano di agricoltura, come ad esempio nella Naturalis Historia di Plinio e nelle Georgiche di Virgilio.

Anche le leggende popolari si sono occupate delle sorbe, considerate dei veri e propri portafortuna che possiedono il potere magico di allontanare tutti i mali in virtù dei loro colori caldi e intensi. Un pezzetto di ramo di Sorbo portato in tasca è un fantastico talismano.

E sulle sorbe è noto il famoso e saggio detto popolare “Con il tempo e con la paglia maturano le sorbe”, che significa: come le sorbe hanno bisogno di ammorbidire sulla paglia tutto il tempo che necessitano perché diventino buone, allo stesso modo solo con l’attesa e il trascorrere del tempo alcune situazioni giungono a “maturazione”. Identico significato ha il proverbio che ha come protagoniste le nespole, frutti che, al pari delle sorbe, maturano per ammezzimento.

Insomma, i Sorbi possiedono tutti i requisiti perchè venga loro restituito il posto che in passato avevano conquistato nel panorama delle piante “virtuose”.

Circa la loro morfologia, si tratta di alberi o arbusti caducifogli, diffusi nelle regioni temperate dell’Emisfero Boreale. Le foglie sono intere, lobate o pennate; i fiori, bianchi o rosei, sono riuniti in infiorescenze corimbiformi; i frutti sono dei piccoli pomi. Sembra che il nome derivi dal celtico sor = aspro, con riferimento all’asprezza delle sorbe quando sono acerbe (ma che diventano gustosissime a completa maturazione).

Allo stato spontaneo in Italia sono presenti, tra specie e sottospecie, 14 entità. Ne descriviamo qui brevemente solo le più diffuse e cioè:  il Sorbo montano (Sorbus aria), il Sorbo degli uccellatori (S. aucuparia), il Sorbo comune (S. domestica) e il Ciavardello (S. torminalis), che rivestono un ruolo importante come componenti  di varie  formazioni  forestali.

 

Sorbo montano – Foto Pirone

 

Il Sorbo montano è un  alberello alto fino a 10-12 m, a lento accrescimento,  con tronco molto ramificato e chioma densa, ovato-piramidale. Le foglie sono semplici, di consistenza spesso coriacea, da ellittica ad ovata, larga 4-9 cm e lunga 6-14 cm, a margini irregolarmente seghettati, superiormente verde scuro, glabra e lucida, inferiormente tomentoso-argentea (da qui il nome popolare di “Farinaccio”, con cui viene spesso indicato). I fiori, bianchi, sono riuniti in grandi corimbi. Il frutto è subgloboso, di 7-15 mm, rosso-arancio o scarlatto a maturità. Fiorisce a maggio-giugno e i frutti maturano in ottobre. E’ un albero molto longevo, potendo vivere fino a 200 anni.

Specie eliofila e moderatamente xerofila, predilige i suoli calcarei, anche poveri e detritici. È un componente, sporadico, delle foreste di latifoglie dal piano basale a quello montano; si accompagna in basso alla Roverella e al Carpino nero, più in alto al Faggio; è presente anche nelle radure, sui pendii detritici e in stazioni rupestri, spingendosi a volte oltre il limite degli alberi.

La sua distribuzione geografica comprende l’Europa, l’Asia e l’Africa nord-occidentale. In Italia è presente in tutto il territorio.

Pianta molto ornamentale, è utilizzata in parchi e giardini. Il legno, duro e compatto, è impiegato soprattutto nella costruzione di carri e imbarcazioni. I frutti, adatti alla distillazione, un tempo venivano utilizzati per la fabbricazione di conserve.

 

Sorbo degli uccellatori – Foto Pirone

 

Il Sorbo degli uccellatori è un albero (ma può assumere anche un portamento arbustivo) alto 3-15 m, a tronco snello e molto ramificato e chioma rada, ovato-arrotondata. Le foglie sono imparipennate, lunghe 10-22 cm, con 4-9 paia di foglioline a margine seghettato verso l’apice, verde scuro superiormente e glauche inferiormente. I fiori sono bianchi e riuniti in ricche e vistose infiorescenze a corimbo. I frutti, raccolti in grandi infruttescenze, sono piccoli (5-10 mm), globosi, rosso-scarlatti a maturità e di sapore acidulo. Fiorisce da maggio a luglio e i frutti maturano  in agosto- settembre.

L’epiteto specifico aucuparia, che deriva dal latino aucupium = uccellagione (da cui anche il nome italiano), si riferisce all’utilizzo, inaccettabile, dei frutti, molto graditi dagli uccelli, per attirarli nei roccoli.

È un elemento dei boschi freschi di latifoglie e di aghifoglie, presente soprattutto ai loro margini e nelle radure. Si rinviene, in forma arbustiva, anche negli arbusteti dell’orizzonte subalpino e sulle pendici detritiche. Il suo areale si estende in tutta l’Europa fino al Caucaso. In Italia è presente in tutto il territorio, esclusa la Sardegna. I suoi frutti sono ricchi di vitamina C, di tannini e di sorbitolo.

Il Sorbo comune è un albero alto 15-20 m, longevo e a crescita lenta, con tronco dritto. Le foglie sono imparipennate, con 6-10 paia di foglioline intere alla base e seghettate all’apice. I fiori, bianchi, sono riuniti in densi corimbi tomentosi. Il frutto è subgloboso o a forma di pera, lungo 2-4 cm, dapprima di colore giallo-rossiccio, a maturità bruno e dolce. Fiorisce a maggio e i frutti maturano a luglio-agosto.

Vive nei boschi submediterranei, fino a 800 m circa di altitudine. E’ diffuso nell’Europa meridionale e lungo il bacino del Mediterraneo. In Italia vive in tutto il territorio. Possiede un legno molto compatto e omogeneo, apprezzato dagli artigiani per la capacità di essere levigato.

Un tempo la coltivazione  della pianta era molto diffusa; ora, passati di moda i frutti, è in disuso. Le sorbe si dovrebbero cogliere ben mature, ma generalmente la raccolta si fa quando sono ancora acerbe, per poi farle ammezzire fra la paglia in luoghi asciutti. Contengono vitamina C e sorbitolo  e sono ricche di tannino, che conferisce loro riconosciute proprietà astringenti e antidiarroiche. A tale proposito, Pietro Andrea Mattioli, nei suoi famosi Discorsi, così scrive: “ . . . le sorbe quando sono ancora rosse, e non sono mature, tagliate e seccate al sole, mangiandole restringono il corpo. Macinate al molino e mangiate a modo di polenta, fanno il medesimo effetto. Il che fa ancora la decottione loro bevuta”.

 

Ciarvardello o Sorbo torminale – Foto Pirone

 

Il Ciavardello (conosciuto anche con i nomi di Baccarello e di Sorbo torminale) è un albero alto fino a 15-18 m, a volte presente anche in forma arbustiva, a lento accrescimento e molto longevo; il tronco è dritto e la chioma è ampia, globosa. Le foglie sono semplici, con lamina glabra, ovato-lobata, lunga 4-10 cm e larga 3-8 cm, con 3-4 paia di lobi acuti e a margine irregolarmente dentato. I fiori sono bianchi e riuniti in infiorescenze a corimbo composto. Il frutto è ellissoidale-globoso, di 10-15 mm, prima giallo-rossastro, a maturità bruno. Fiorisce ad aprile-maggio; i frutti maturano a settembre-ottobre.

Specie  moderatamente  ombrofila e termofila,  è presente nei boschi di latifoglie, soprattutto submediterranei. Vive  in Europa, Asia occidentale e Africa nord-occidentale. In  Italia è presente in tutto il territorio.

Per l’eleganza delle foglie e per il loro bel colore autunnale, il Ciavardello è apprezzabile come pianta ornamentale. I frutti, commestibili, sono rinfrescanti e astringenti; dalla loro distillazione si ottiene una bevanda alcolica. L’epiteto torminalis, che deriva dal latino tormina = diarrea, indica l’antico uso dei frutti contro la dissenteria.

Concludiamo con una esortazione. Piantiamo più Sorbi nei parchi e nei giardini: saranno più belli e luminosi. E saranno anche allietati dalla presenza di usignoli, pettirossi e cinciarelle, che si nutriranno dei loro frutti in autunno-inverno, quando scarseggeranno insetti e altri invertebrati, di cui abitualmente si nutrono.

 

Gianfranco Pirone – Botanico

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