Le foreste sempreverdi mediterranee. Ecologia e botanica

I boschi di sclerofille sempreverdi e la macchia mediterranea

 

Macchia mediterranea nel Parco Nazionale del Circeo – Foto Colazilli

 

Introduzione

Ricostruire il volto forestale originario dell’Italia mediterranea, dopo che millenni di storia umana, e quindi di devastazioni e di sfruttamenti, hanno spogliato le pendici, isterilito le lande, intensamente trasformato con le colture i territori più fertili, non è certo facile impresa. Ancor più problematico è poi tentare di raffigurarci quale sarebbe oggi lo stato delle foreste peninsulari se avessero potuto durare ed evolvere indisturbate”. Così scrivevano, nell’ormai lontano 1958, gli ecologi vegetali Valerio Giacomini e Luigi Fenaroli nell’ancora attualissimo volume “la Flora” della collana “Conosci l’Italia” edita del Touring Club Italiano.

I paesaggi mediterranei sono attualmente molto diversi da quelli originari: le antiche selve di Leccio sono state sostituite da macchie spesso degradate o addirittura, nei casi di maggiore degenerazione, da una vegetazione erbaceo-cespugliosa discontinua che stenta ad affermarsi su un suolo sottile e dilavato. Nella sintesi qui presentata vengono illustrate, quindi, le vestigia di una vegetazione un tempo lussureggiante, con riferimento al territorio italiano e all’Abruzzo.

Nel panorama delle grandi zonazioni climatiche della Terra, il bacino del Mediterraneo rappresenta una transizione tra la fascia temperata dell’Europa e la fascia tropicale arida dell’Africa settentrionale. In questo contesto, il clima mediterraneo possiede caratteristiche autonome: concentrazione del massimo di piovosità nel periodo freddo dell’anno (autunno-inverno), un periodo di aridità in corrispondenza dei mesi più caldi (estate), ammontare delle precipitazioni molto variabile da un anno all’altro, estati calde o molto calde e inverni freschi o anche freddi ma senza una escursione termica giorno-notte e tra le diverse stagioni molto marcata, un irraggiamento solare intenso, soprattutto in estate.

Solo una parte dell’Italia può essere considerata strettamente mediterranea. In linea di massima il territorio italiano si può dividere, con una linea ideale che va dalla Liguria all’Abruzzo settentrionale, in due sezioni climaticamente diverse: l’arco alpino, la pianura Padana e la costa adriatica settentrionale, con un clima di tipo temperato; l’Italia peninsulare, con un clima mediterraneo. Occorre comunque sottolineare che la dorsale appenninica e buona parte dei territori collinari ricadono nel clima temperato (che si accentua man mano che ci si allontana dalle coste). Accentuati caratteri di mediterraneità presentano la Sicilia, la Sardegna, il Salento e i territori del golfo di Taranto.

Le estati calde prive di precipitazioni e gli inverni miti favoriscono una vegetazione legnosa a sclerofille (dal greco skleros = duro, e phyllon = foglia), caratterizzate da foglie persistenti per un anno o più, ricche di tessuto sclerenchimatico, coriacee, con cuticola spessa, stomi infossati e protetti da peli, idonee a difendere le piante dall’eccessiva perdita di acqua per traspirazione. Alcune specie, come l’Euforbia arborea e la Ginestra spinosa, superano il periodo di aridità estivo adottando una diversa strategia: perdono le foglie in estate.

La vegetazione legnosa mediterranea può avere struttura arborescente o arbustiva: nel primo caso sono compresi i boschi di Leccio (Quercus ilex subsp. ilex), di Quercia da sughero (Quercus suber) e le pinete; nel secondo sono incluse le formazioni di macchia, con numerose specie arbustive tra le quali, oltre al Leccio, vi sono il Mirto (Myrtus communis), il Lentisco (Pistacia lentiscus), l’Alaterno (Rhamnus alaternus subsp. alaternus), il Corbezzolo (Arbutus unedo), le Filliree (Phillyrea latifolia e P. angustifolia) ed il Laurotino (Viburnum tinus subsp. tinus). Soprattutto lungo il versante adriatico della Penisola Italiana, poi, in aree con maggiore umidità o di transizione verso la fascia supramediterranea, vi sono tipi di boschi misti nei quali al Leccio ed alle altre sclerofille si associano alcune latifoglie decidue e principalmente l’Orniello (Fraxinus ornus subsp. ornus), la Quercia virgiliana (Quercus virgiliana), il Carpino nero (Ostrya carpinifolia), il Carpino orientale (Carpinus orientalis) e l’Acero minore (Acer monsessulanum). Nelle zone montuose il Leccio può associarsi anche con l’Agrifoglio (Ilex aquifolium) e il Tasso (Taxus baccata).

 

Macchia mediterranea nel Parco Nazionale del Circeo – Foto Colazilli

 

Le leccete

Il Leccio è la più tipica quercia del clima mediterraneo, il cui optimum si colloca nelle aree non eccessivamente calde e aride. Vegeta inoltre nelle regioni supramediterranee purché non siano troppo fredde. Specie tendenzialmente ombrofila, è indifferente al tipo di substrato, rifuggendo però dai terreni argillosi compatti. La sua plasticità ecologica la rende protagonista di situazioni anche molto diverse, potendo vegetare dagli ambienti costieri fino alle zone interne termicamente favorevoli, a oltre 1000  m di altitudine. Sui substrati profondi cresce come albero esuberante e massiccio, mentre sui suoli superficiali e rocciosi assume in prevalenza un portamento arbustivo, comportandosi da specie pioniera.

Il bosco sacro (lucus) dei Romani era spesso una foresta di Leccio. L’epiteto specifico ilex è il nome latino del Leccio; da ilignus = di Leccio, deriverebbe quindi il termine lignum e l’attuale “legno”. La distribuzione geografica del Leccio si estende lungo le coste del Mediterraneo, con una tendenza a una maggiore diffusione verso occidente e con irradiazioni sulle coste atlantiche dalla Francia al Marocco. In Italia è presente nei territori peninsulari e nelle isole, con stazioni relitte intorno ai laghi prealpini; al settentrione sale fino a 600-800 m, al meridione fino a 1100 m, sull’ Etna fino a 1800 m.

Nell’Abruzzo costiero il Leccio è presente, oltre al nucleo di Torino di Sangro Marina, qua e là lungo le falesie del Chietino ed è frequente nei fossi trasversali alla linea di costa. Mentre è praticamente assente dal resto della costa abruzzese, il Leccio vegeta, con popolamenti radi rupicoli o spesso in consorzi di macchia anche molto estesi, in diverse zone interne: fascia collinare arenacea e gessoso-calcarea in varie località della provincia di Chieti, lungo i valloni e le gole (Gole del Salinello, Vallone d’Angri, Gole di Popoli, gole di San Venanzio e del Sagittario, valle dell’Orta, valle dell’Orfento ecc.), nelle vallate aperte e nei bacini interni (valli del Trigno, del Sangro, del Vomano; conche di Capestrano, di Sulmona, del Fucino ecc.).

La lecceta è la formazione più complessa e stabile dell’orizzonte mediterraneo. Le fustaie di Leccio sono però oggi molto rare e alcuni esempi possono essere osservati in Toscana, in Umbria, nel Lazio (Parco Nazionale del Circeo, Castelporziano), in Campania nel Parco Nazionale del Cilento, in Puglia sul Gargano; altri esempi sono quelli della Sicilia e della Sardegna. Si tratta, comunque, sempre di consorzi di limitata estensione, presenti in territori meno interessati dallo sfruttamento dell’uomo.

Il mondo delle leccete, in Italia, è ad ogni modo, molto articolato sul piano fitogeografico, anche perché nel Mediterraneo centrale europeo la nostra Penisola svolge un ruolo di cerniera tra l’area tirrenica ad occidente e quella adriatica ad oriente. La struttura della lecceta è complessa: allo strato arboreo più elevato, oltre al Leccio, possono partecipare la Roverella (Quercus pubescens) e l’Acero minore (Acer monspessulanum). Uno strato arborescente inferiore, non sempre presente, è edificato da esemplari arborei di Corbezzolo (Arbutus unedo) e Filliree (Phyllirea latifolia e P. angustifolia). A questo segue uno strato alto-arbustivo formato soprattutto da Alaterno (Rhamnus alaternus) e Laurotino (Viburnum tinus), nel quale si sviluppano anche, in un intricatissimo intreccio, le liane: Smilace (Smilax aspera), Rosa sempreverde (Rosa sempervirens),  Clematide fiammola (Clematis flammula), Caprifogli (in particolare Lonicera implexa e L. etrusca). Spesso è presente anche l’Edera (Hedera helix). Lo strato basso-arbustivo è generalmente dominato dal Pungitopo (Ruscus aculeatus). Povero è,  quasi sempre, per mancanza di luce a causa della fitta vegetazione, lo strato erbaceo che, nelle radure, si arricchisce di numerose specie annuali.

Nella prima fase di degradazione, la lecceta viene sostituita da una macchia alta a Leccio, della quale mantiene in gran parte i caratteri floristici e fisionomici. La sua distribuzione è però molto più ampia della foresta a carattere residuale da cui deriva, come stadio mantenuto dalle attività antropiche. Al Leccio si associano varie sclerofille e principalmente il Lentisco, il Corbezzolo, le Filliree, l’Alaterno e il Laurotino; nelle aree più meridionali la macchia si arricchisce di Oleastri, Mirti e Ginepri.

L’apparente monotonia paesaggistica di questa fitocenosi è vivacizzata non tanto dalle fioriture, poco vistose, quanto dalle fruttificazioni, che in estate ed in autunno  risaltano, con il rosso dei frutti dello Smilace, della Rosa sempreverde e del Corbezzolo, con il rosso-brunastro di quelli dell’Alaterno e con il nero-ceruleo di quelli del Mirto e del Lentisco, sul verde intenso della compagine sclerofillica. Nelle radure, poi, sono le comunità di piccole e spesso effimere erbe a rendere molto gradevole  il paesaggio, con le fioriture primaverili di Romulee, Calendule, Orchidee, Ranuncoli e Margherite.

Delle varie associazioni di lecceta e macchia alta identificate per il territorio italiano, in Abruzzo sono state riconosciute le seguenti:

Lecceta termo-xerofila con Cyclamen hederifolium. E’ un bosco misto di Leccio e caducifoglie, a carattere termo-xerofilo. Nelle aree a clima mediterraneo meno caldo-arido rappresenta la lecceta zonale, mentre in aree ancora più fresche, submediterranee, assume un significato extrazonale. Le specie diagnostiche sono Cyclamen hederifolium, Viola alba subsp. dehnhardtii, Asplenium onopteris, Myrtus communis e Arisarum vulgare. In Abruzzo questa associazione si afferma prevalentemente nella fascia costiera e collinare, su substrati arenaceo-conglomeratici; si rinviene  comunque anche nelle aree interne su substrati di varia natura

Lecceta mesofila. Si tratta di una fitocenosi di transizione verso i boschi misti appenninici di caducifoglie, con un ampio range altitudinale,  che si rinviene in alcune stazioni delle aree interne particolarmente fresche ad esposizione settentrionale, caratterizzate da una buona  disponibilità  idrica favorente  l’affermazione di specie mesofile tipiche delle faggete. Le specie diagnostiche sono Cephalanthera longifolia, Silene italica subsp. italica, Melica uniflora, Viola reichenbachiana, Cruciata glabra, Lilium bulbiferum subsp. croceum. In Abruzzo questa lecceta è presente nelle aree interne fresche con esposizioni nei quadranti settentrionali.

Lecceta con Daphne sericea. Bosco misto di Leccio e latifoglie decidue, delle conche interne dell’Appennino  Abruzzese (Conca di Capestrano, Conca Peligna) a clima temperato subme- diterraneo semicontinentale. Le specie diagnostiche sono Daphne sericea, Osyris alba, Cyti- sophyllum sessilifolium, Lonicera etrusca, Pistacia terebinthus. E’ un’associazione endemica dei settori calcarei interni dell’Abruzzo.

Lecceta con Festuca exaltata. Associazione   di  lecceta  semi-mesofila  dell’Italia  meri- dionale,  vicariante  delle  leccete  mesofile  appenniniche,  rispetto  alle quali presenta un carattere più termofilo ed igrofilo. Le specie diagnostiche sono Festuca exaltata, Acer opalus subsp. obtusatum, Asplenium onopteris, Carex distachya. In Abruzzo si afferma sui substrati  marnoso-arenacei  del Chietino  (Lecceta  di Torino di Sangro, Rocca S. Giovanni, Vallaspra di Atessa, ecc.).

 

Quercia da Sughero nella vegetazione mediterranea dell’Argentario – Foto Colazilli

 

Le sugherete

La Quercia da sughero (o Sughera) (Quercus suber) è un altro importante protagonista dei boschi delle coste mediterranee. Il suo tronco, ricoperto da uno spessa corteccia grigio-bruna, dopo la periodica decorticazione, finalizzata all’utilizzazione degli strati di sughero, appare di un colore rosso-bruno, che  rende inconfondibile il suo aspetto.

Maggiormente esigente di calore e più resistente all’aridità rispetto al Leccio, la Sughera è comunque legata ad un clima piuttosto umido, come è denunciato dal suo areale, nettamente mediterraneo-occidentale. Anche le altitudini raggiunte dalla Sughera lungo i vestanti peninsulari e insulari sono più modeste di quelle del Leccio, in sintonia con le sue esigenze climatiche. La Sughera, comunque, può affermarsi anche nelle alture più interne e “risalire” sensibilmente sulle montagne, dove talora sostituisce il Leccio sui suoli silicei. Rispetto al Leccio, infatti, la Sughera si localizza su suoli sciolti, prevalentemente silicei, a reazione acida.

In passato la Sughera è stata favorita dall’uomo, sia direttamente perchè utilizzata per la produzione del sughero, sia indirettamente a causa degli incendi, in quanto la sua spessa corteccia la protegge meglio di altre specie arboree dal fuoco basso. Le sugherete, molto condizionate dall’uomo, in genere non possiedono una flora accompagnatrice caratteristica; in esse non vi è l’intricata vegetazione arbustiva tipica della lecceta, ma solo un consorzio erbaceo con cespugli radi e poche liane. Sicuramente, le sugherete originarie dovevano essere, al pari delle leccete, delle foreste esuberanti, strutturalmente e floristicamente complesse, molto diverse, quindi, dai boschi che oggi possiamo osservare, intensamente sfruttati.

Le sugherete sono particolarmente diffuse in Sardegna, ma non mancano in Calabria e Sicilia, oltre che in Liguria, Toscana, Lazio, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Non vegeta, quindi, in Abruzzo. Nella nostra regione, comunque, una sua traccia è costituita da esemplari, noti per varie località, di Cerrosughera (Quercus crenata), una quercia che secondo alcuni autori è un ibrido di Quercus cerris e Q. suber; altri autori la considerano buona specie, ormai stabilizzata. E’ presente anche in territori nei quali la Sughera non è presente, come nel caso della nostra regione. Questa entità può essere simile al Cerro, ma con foglie sempreverdi, o alla Sughera, ma con foglie a pelosità biancastra. È legata ai querceti misti, su terreni subacidi, con optimum nella fascia submediterranea. L’area di distribuzione geografica è costituita dal bacino del Mediterraneo settentrionale; in Italia è rara, ma presente in quasi tutto il territorio.

Macchia mediterranea nella Riserva di Torre Guaceto (BR) – Foto Colazilli

Macchia mediterranea nel Parco Nazionale del Circeo – Foto Colazilli

 

Il bosco di Alloro

L’Alloro è un arbusto o piccolo albero sempreverde, che predilige un clima caldo-umido e un suolo fertile, profondo, fresco e ben drenato. Allo stato spontaneo vegeta in stazioni umide come i valloni freschi, le gole rupestri, i greti dei corsi d’acqua, a cavallo tra l’orizzonte mediterraneo e quello submediterraneo.  È a volte un componente dei boschi di Leccio o di altre Querce termofile.

Gli antichi Greci indicavano l’Alloro col nome di daphnè: la mitologia ci ha tramandato la leggenda della ninfa Daphne che, per sfuggire al dio Apollo, venne trasformata in Alloro, albero sacro a questo dio. Come simbolo di immortalità, il popolo ellenico lo usava nei sacrifici e lo offriva in omaggio ai sacerdoti e agli eroi, quale testimonianza di gloria, usanza che si è mantenuta fino ai nostri tempi estendendosi anche all’incoronamento dei poeti e diventando altresì simbolo di premio (la ”laurea”) per chi supera gli studi universitari. Le formazioni di Alloro più tipiche si trovano in Sicilia e Sardegna, dove rappresentano i relitti di estese foreste, in consorzio con altre piante “laurifille”, presenti in epoche passate quando, nell’Era Terziaria, il clima era di tipo subtropicale.

Rara nel Mediterraneo, la foresta di “laurifille”, cioè di piante a foglie persistenti ma con lembo più largo e più morbido rispetto alle sclerofille, è ben rappresentata attualmente nelle Isole Canarie. L’Alloro è distribuito nel bacino del Mediterraneo, dalla Penisola Iberica all’Asia Minore. In Italia è presente in tutto il territorio, dal piede delle Alpi in giù, ma quasi sempre è coltivato e a volte naturalizzato. Viene ritenuto autoctono solo in stazioni di rifugio fresche e umide.

Anche in Abruzzo è frequentemente coltivato ed è difficile, quindi, distinguere  le stazioni primarie da quelle nelle quali si è naturalizzato. Le fitocenosi, del tutto peculiari, in cui si afferma in modo ottimale sono localizzate nei valloni e forre, su substrato arenaceo-conglomeratico, in condizioni microclimatiche di elevata umidità, soprattutto nel chietino subcostiero-collinare, dove è verosimile che si trovino le stazioni primarie. Qui l’Alloro si associa spesso all’Olmo campestre (Ulmus minor) oltre che, in particolari situazioni, all’Ontano nero (Alnus glutinosa). Relativamente rari sono inoltre i boschi di Quercia virgiliana (Quercus virgiliana) con Alloro e le boscaglie nelle quali l’Alloro domina nettamente.

 

Macchia mediterranea Phillirea angustifolia nel Parco Nazionale del Circeo – Foto Colazilli

 

Macchia mediterranea nel Parco Nazionale del Circeo – Foto Colazilli

 

La macchia mediterranea

La macchia mediterranea è formata da una densa comunità di specie arbustive sempreverdi, nota inconfondibile dei territori mediterranei. Nella nostra Penisola è ben rappresentata e frequente e in gran parte è costituita dalle stesse specie  presenti nelle foreste mediterranee.  Nel linguaggio comune richiama alla mente un luogo selvaggio occupato da una boscaglia impenetrabile, ma la denominazione è entrata nel linguaggio scientifico per indicare un complesso di vegetazioni arbustive sempreverdi, proprie della regione mediterranea, caratterizzate da una fisionomia molto uniforme, anche se la composizione floristica può essere varia e articolata. Attualmente è la formazione vegetale legnosa più rappresentativa dei territori mediterranei.

La macchia viene indicata, nei vari distretti geografici caratterizzati dal clima mediterraneo, con specifici termini: matorral nei paesi di lingua spagnola (Spagna e Cile), chaparral in California, fynbos in Sud Africa, mallee in Australia.

Generalmente la macchia è a carattere secondario, cioè deriva dalla foresta per degradazione a causa di azioni di disturbo, soprattutto l’incendio, ma vi sono anche macchie primarie, che si affermano in aree in cui i fattori limitanti non permettono una sua ulteriore evoluzione, come accade in situazioni climatiche spiccatamente caldo-aride o lungo i ripidi versanti rocciosi costieri. L’ulteriore degradazione della macchia può condurre alla gariga, tipo di comunità vegetale formata da piccoli cespugli e da erbe per lo più annuali.

Tra i caratteri più significativi della macchia vi sono la dominanza di arbusti sclerofilli (ma anche alberi allo stato arbustivo) e la ricchezza di liane che contribuiscono a creare comunità impenetrabili.

Si conoscono diversi tipi di macchia mediterranea. Una prima distinzione riguarda la struttura, che permette di distinguere  una “macchia alta” (a volte nota con il nome di “macchia-foresta”), costituita da una fitocenosi alta fino a 4-5 metri, da una “macchia bassa”, con aspetti di modesta altezza, in genere fino a 2-3 metri.

Una distinzione più rigorosa è legata alla composizione floristica e, in particolare, alle specie dominanti. I tipi di macchia più diffusi sono quelli in cui dominano, di volta in volta, il Leccio (Quercus ilex), la Quercia spinosa (Quercus coccifera), il Corbezzolo (Arbutus unedo), l’Erica arborea (Erica arborea), il Ginepro fenicio (Juniperus phoenicea) e quello coccolone (Juniperus macrocarpa), l’Oleastro (Olea europaea var. sylvestris), il Carrubo (Ceratonia siliqua), il Lentisco (Pistacia lentiscus), il Mirto (Myrtus communis), le Calicotomi o Sparzi (Calicotome sp. pl.), la Palma nana (Chamaerops humilis), il Rosmarino (Rosmarinus officinalis), l’Euforbia arborescente (Euphorbia dendroides).

Di seguito vengono illustrate sinteticamente le tipologie di macchia mediterranea più diffuse in Italia, alcune delle quali presenti anche in Abruzzo. Non verrà descritta la macchia alta a Leccio, alla quale si è fatto cenno a proposito delle leccete.

 

Vetusto esemplare di Lentisco all’Argentario  – Foto Colazilli

 

La macchia di Alaterno e Lentisco

E’ una fitocenosi molto diffusa, dominata dall’Alaterno (Rhamnus alaternus) e dal Lentisco (Pistacia lentiscus), che si afferma lungo i pendii calcarei, a seguito della degradazione della lecceta, Nella sua compagine si sviluppano anche le tipiche liane del bosco di Leccio, come lo Smilace, il Caprifoglio mediterraneo, la Robbia e l’Asparago pungente. Alcuni aspetti sono caratterizzati dalla presenta del Mirto (Myrtus communis). Macchie a Mirto e Lentisco sono presenti in Abruzzo lungo i segmenti costieri e subcostieri, oltre che nelle valli fluviali.

La macchia di Quercia spinosa

La Quercia spinosa (Quercus coccifera) è una specie a portamento arbustivo, alta generalmente 2-4 metri, da noi legata ai territori del Meridione (Puglia e Basilicata), della Sicilia e della Sardegna. Per la limitata estensione del suo areale è meno importante delle altre querce sempreverdi, ma merita comunque un cenno in quanto componente significativa dei paesaggi dell’Italia mediterranea. Si distingue per le foglie piccole, dentate e spinescenti, lucide su ambedue le pagine.

La macchia di Corbezzolo ed Erica

Ben più consistente è la superficie occupata dalla macchia alta dominata dal Corbezzolo (Arbutus unedo), arbusto o piccolo albero con corteccia rossastra, foglie coriacee e lucide, fiori bianco-rosei riuniti in grappoli e frutti rosso-vivo. Questa macchia, che si sviluppa bene sui suoli silicei, acidi, lungo i versanti freschi, è favorita dagli incendi, in quanto il Corbezzolo è una delle prime piante legnose a ricacciare dopo il passaggio del fuoco. I frutti del Corbezzolo sono eduli, anche se un po’ insipidi: da qui l’epiteto specifico unedo = unum tantum edo: ne mangio uno solo. Con essi si preparano anche marmellate e liquori. La concomitante produzione di frutti rossi e fiori bianchi fra settembre e dicembre, associata al verde intenso delle foglie, fanno del Corbezzolo una elegantissima pianta da giardino. Nel Risorgimento, proprio per i colori che assume in autunno, uguali a quelli della bandiera nazionale, era considerato un simbolo del tricolore.

Affine è la macchia ad Erica arborea (Erica arborea), arbusto che spesso cresce proprio nella macchia a Corbezzolo, la cui involuzione per aumento dell’acidità del suolo e per il suo impoverimento approda ad un vero e proprio ericeto. Quest’ultimo è molto suggestivo in primavera, quando si ricopre delle bianche infiorescenze dell’Erica. In alcuni territori, ad esempio in Calabria, le radici dell’Erica, ingrossate e compatte, sono assai pregiate per la fabbricazione delle pipe. A  volte la macchia ad Erica costituisce il sottobosco delle sugherete e di altri boschi anche caducifogli.

Sia il Corbezzolo che l’Erica arborea sono presenti in Abruzzo, ma in modo sporadico. L’Erica, in particolare, raramente entra nella composizione della macchia, come accade, ad esempio, negli arbusteti a dominanza di Ginepro rosso nel territorio della Laga. A volte  questa specie fa parte del sottobosco di alcuni boschi tendenzialmente adidofili, come le cerrete.

La macchia di Oleastro, Carrubo, Euforbia arborea e Palna nana

Si tratta di una vegetazione diffusa nei territori mediterranei più caldi; non è presente in Abruzzo.  L’Oleastro (Olea europaea var. sylvestris) e il Carrubo (Ceratonia siliqua) edificano la formazione arbustiva più macrotermica della vegetazione italiana. Diffusa lungo le coste tirreniche centro-meridionali e sulle isole, tale macchia costituisce la vegetazione primaria, permanente, negli habitat rupestri o litoranei con scarso suolo, ma può rappresentare anche uno stadio di regressione delle leccete costiere. Uno stadio di degradazione di questa macchia è caratterizzato da una macchia a dominanza di Euforbia arborea (Euphorbia dendroides), che si afferma sui suoli rocciosi lungo le coste particolarmente calde. La specie è nota sin dall’antichità per la sua elevata tossicità: ad essa,  abbondante sulle rupi di Capo Circeo, è legata la leggenda della Maga Circe, che preparava filtri e veleni.   ra i più interessanti aspetti dell’oleo-ceratonieto vi è quello caratterizzato dalla presenza della Palma nana (Chamaerops umilis), l’unica palma che cresce in Italia e che rende a volte sorprendente il paesaggio costiero in Sardegna, Sicilia, isole minori e lungo il versante tirrenico  della Penisola.

 

Splendido esemplare di Erica arborea nel Parco Nazionale del Circeo – Foto Colazilli

 

La macchia di Ginepri

Negli ambienti mediterranei rupestri o sabbiosi prevale spesso una macchia a dominanza di Ginepri, in particolare di Ginepro coccolone (Juniperus macrocarpa) e di Ginepro fenicio (Juniperus phoenicea, con le sottospecie phoenicea e turbinata). Mentre il primo è presente in Italia su quasi tutte le coste, il secondo è legato alle coste tirreniche oltre che al Meridione. Nei dintorni di Casoli, in Abruzzo, è presente una interessante macchia a Ginepro coccolone, con grandi, annosi esemplari, cui si associano altre sclerofille quali la Clematide fiammola (Clematis flammula), il Lentisco (Pistacia lentiscus), la Robbia (Rubia peregrina), lo Slimace (Smilax aspera), l’Asparago pungente (Asparagus acutifolius), ecc.

La macchia di Ginestre

Questa macchia è caratterizzata dalla presenza di varie Ginestre endemiche delle coste e delle piccole isole del Tirreno meridionale e della Sardegna, tra cui Genista arbusensis, G. aristata, G. aspalathoides, G. cilentina, Genista corsica, G. cupanii, G.desoleana, G. ephedroides, G. sardoa, G. tyrrhena. Significativa è anche la macchia a dominanza di Sparzi o Ginestre spinose (Calicotome infesta, C. spinosa e C. villosa), in Italia presenti al centro-sud. Si tratta di arbusti con piccole foglie e rami assai pungenti, molto ornamentali per i loro fiori di un intenso giallo. Le due prime specie sono presenti anche in Abruzzo: Calicotome infesta è nota  per i fossi trasversali alla costa chietina tra l’Abbazia di S. Giovanni in venere, S. Vito e Lanciano, mentre C. spinosa è stata segnalata solo per la Valle dell’Orta.

 

 Prof. Gianfranco Pirone. Già Professore Ordinario di Geobotanica ed Ecologia Vegetale presso l’Università dell’Aquila

Articolo pubblicato su Fratello Albero n.4 del 2016

 

 

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