Gli alberi e gli arbusti autoctoni dei giardini storici

Gli alberi e gli arbusti autoctoni dei giardini storici

 

 

Introduzione

I giardini, nell’accezione più ampia che ad essi si attribuisce in relazione alle loro funzioni e alla loro storia, possono essere considerate vere e proprie “isole di biodiversità”, presenze preziose in territori spesso ad elevato grado di antropizzazione. Nonostante siano, generalmente, isole artificiali, rivestono a volte un ruolo strategico sia come siti idonei alla conservazione ex situ della biodiversità regionale, sia come “aree di rifugio” delle specie vegetali ed animali. Ovviamente, si tratta di “isole”  non nel senso fisico o biogeografico, ma che assumono un significato culturale, perchè spesso riuniscono ciò che in natura è presente su ampie superfici e permettono, quindi, di osservare in poco spazio il vasto mondo  della vita in un compendio ragionato e il più possibile efficace.

In tale contesto, un ruolo di primo piano è svolto dai giardini storici, che, oltre a sviluppare compiti propri di queste istituzioni (a tale proposito vedansi la Carta italiana dei giardini storici del 1981 e la Carta per la salvaguardia dei giardini storici del 1981-1984),  possono essere utilizzati come mezzo di diffusione della cultura naturalistica e svolgere un’importante azione nella sensibilizzazione alle problematiche relative alla conservazione della diversità biologica attraverso percorsi di educazione ambientale. Essi  possiedono alcune peculiarità come luoghi di relazione uomo/natura, documenti della natura e della storia congiuntamente, custodi di specificità provenienti da tutto il mondo e “ponti” tra culture. Secondo la citata Carta per la salvaguardia dei giardini storici, “un giardino storico è una composizione architettonica e vegetale che dal punto di vista storico o artistico presenta un interesse pubblico. Come tale è considerato come un monumento”. Il termine “giardino storico” si riferisce, quindi, ad uno spazio progettato dall’uomo e realizzato nella sua componente più importante con materiale vivente, al quale viene riconosciuto un interesse pubblico sulla base delle sue caratteristiche artistiche e/o dell’importanza storica. Ne sono esempi i parchi urbani e quelli annessi alle grandi proprietà nobiliari, gli orti e i giardini botanici, le aree verdi dei siti archeologici, ma anche (nel caso in cui siano caratterizzati da rilevanza artistica o storica) i giardini privati di piccole dimensioni, i chiostri, le aree cimiteriali, ecc.

I giardini sono stati fin dall’antichità parte integrante delle dimore più importanti e di essi restano, purtroppo, poche testimonianze spesso relegate  nei documenti storici. Nell’Europa del Medioevo i giardini più antichi erano un complemento fondamentale dei grandi edifici monumentali, come le regge ed i monasteri. Tale connubio si consolidò nel Rinascimento, quando i giardini monumentali  vennero progettati in fregio alle residenze nobiliari, ma anche borghesi, sviluppandosi poi fino alla prima metà del secolo scorso. Con la crescente importanza attribuita alle scienze naturali e  quale estensione dei tradizionali orti officinali dei monasteri, al giardino storico si affiancò l’orto botanico, che divenne anche la sede elettiva della coltivazione di un numero sempre più elevato di specie esotiche. Giardini storici ed orti botanici sono beni culturali: i primi hanno finalità  soprattutto estetiche, sociali, religiose e filosofiche; i secondi sono nati in modo quasi esclusivo per l’insegnamento e lo studio delle scienze botaniche pure ed applicate, ampliando però sempre più, col passare del tempo, i loro obiettivi. Si ribadisce che anche gli orti botanici possono avere caratteristiche di giardino storico. Numerosi articoli, rassegne e notizie sui giardini storici, con un campionario di bellissime foto, sono disponibili, tra l’altro, sul sito del Coordinamento Nazionale per gli Alberi e il Paesaggio (www.conalpa.it).

Un tema sempre attuale è quello della scelta da compiere, nell’impianto di alberi e arbusti, tra le specie autoctone e quelle esotiche. Vi sono parchi e giardini in cui gli esemplari arborei più diffusi sono autoctoni e altri con dominanza di specie esotiche (Magnolie, Cipressi, Cedri, Araucarie, vari Ficus, Palme, Eucalipti, ecc). In linea di massima sarebbero da privilegiare le specie autoctone: perché sono fitoclimaticamente ed esteticamente bene integrate; perché meno vulnerabili alle avversità climatiche e meno esposte agli attacchi parassitari; oltretutto perché, in genere, costano meno. Largo, quindi, a Roverelle, Lecci, Cerri, Pioppi, Aceri, Betulle, Frassini, Bagolari, Pini d’Aleppo, Corbezzoli, Olmi campestri ecc.  Sarebbe poi molto scorretto ed ecologicamente inaccettabile eliminare una preesistente vegetazione legnosa autoctona per far posto a specie esotiche.

L’ecologo vegetale Valerio Giacomini, a tale proposito così scriveva, nell’ormai lontano 1975, nel suo ancora attualissimo volume “Italia Verde”: “I paesaggi italici costruiti nel verde, caratterizzati da piante verdi, possiedono una espressività tanto più ricca, tanto più suggestiva, quanto più sono autentici. Noi degradiamo i valori del paesaggio quando distruggiamo o rimuoviamo gli alberi, gli arbusti tradizionali o spontaneamente presenti in un determinato ambiente, e li sostituiamo, per malintesa ricerca del nuovo, con stirpi peregrine introdotte da lontani paesi . . . Non si nega l’opportunità di arricchire di piante esotiche gli spazi verdi conferendo loro maggior varietà ed estrosità di forme e colori, si esprime rammarico per la cancellazione totale di quei caratteri distintivi, originali che la vegetazione naturale o naturalizzata potrebbe offrire conferendo una personalità inconfondibile a ciascun lembo del nostro territorio”.

Se la finalità è didattico-scientifica, è evidente la necessità di utilizzare anche specie esotiche provenienti dai vari continenti. Non si esclude che anche il fine estetico-espressivo può imporre l’inserimento di specie esotiche, tenendo comunque conto della vicarianza ecologica, cioè utilizzando specie adatte all’ambiente in cui devono vivere, a meno che non venga scelta una sistemazione in serra; tra i numerosissimi esempi, ne citiamo solo qualcuno. In Europa i più famosi si trovano in Inghilterra: i Kew Gardens di Londra ed i giardini della Royal Horticultural Society (Wisley in Surrey, Rosemoor in Devon, Hyde Hall in Essex e Halow Carr in North Yorkshire). Per l’Italia ricordiamo i Giardini Hanbury alla Mortola di Ventimiglia, con le stupende collezioni di piante esotiche oltre che di flora mediterranea; le ville sulle rive del Lago Maggiore tra cui Villa Carlotta, la più famosa, e Villa Taranto nota per le collezioni di Azalee e Rododendri;  il noto e felice verde di arredo nel quale è protagonista l’esotico Cipresso, come sui laghi insubrici e nella campagna toscana (ma questa stessa  specie è stata, purtroppo, utilizzata in  tanti altri esempi a sproposito, soprattutto oggi, quando si è operato in modo molto diverso dai validi esempi cui si è fatto cenno).

Tra gli orti botanici storici, ricordiamo l’Orto Botanico dell’Università di Padova istituito nel 1545, il più antico del mondo, un vero patrimonio culturale, nel quale tra l’altro furono introdotte per la prima volta in Italia diverse piante originarie dei vari continenti; l’Orto Botanico dell’Università di Palermo, che custodisce tante rarità botaniche provenienti da tutto il mondo (e non possiamo non menzionare almeno il maestoso esemplare di Ficus magnolioides); l’Orto Botanico dell’Università di Napoli, con le ricche e bellissime collezioni di piante succulente e di Felci arboree. Un cenno meritano anche i giardini storici alpini, tra cui citiamo, per le Alpi, il Giardino Chanusia fondato nel 1897 al Colle del Piccolo San Bernardo (oggi però in territorio francese) e il Giardino Paradisia fondato nel 1955 in Valnontey ad opera del Parco Nazionale Gran Paradiso, e per gli Appennini il Giardino Alpino di Campo Imperatore (Gran Sasso d’Italia) ad una quota di 2130 m, fondato nel 1952 dal botanico Vincenzo Rivera.

Alberi e arbusti autoctoni

Nella presente nota si riporta una succinta e molto parziale rassegna (con brevi informazioni su morfologia, ecologia, distribuzione geografica ed etonobotanica) sugli alberi e gli arbusti autoctoni presenti spontaneamente nell’Italia centrale e di efficace idoneità come piante ornamentali nei giardini e nei parchi, spesso presenti nei giardini a carattere storico; per alcune specie si è fatto cenno a qualche appunto relativo al territorio dell’Abruzzo. Le specie descritte sono elencate in una successione non casuale, ma seguono il grande “disegno” filogenetico della natura, nel quadro dell’evoluzione biologica.

Abete bianco – Foto Colazilli

 

L’Abete bianco. Gli Abeti (famiglia Pinaceae) sono tra le più imponenti e, allo stesso tempo, eleganti specie forestali. Non a caso per i popoli nordici i grandi Abeti rappresentano il simbolo del dio che sostiene il cosmo, che collega il cielo alla terra, analogo al sole. Per tale motivo l’Abete è consacrato al solstizio d’inverno, come analogia simbolica tra l’albero e la “rinascita” del sole e rappresenta, ormai universalmente, una delle piante-simbolo delle festività natalizie. Per la loro bellezza e il loro simbolismo sono, quindi, tra gli alberi spesso utilizzati nei parchi e giardini.

L’Abete bianco (Abies alba), in particolare, è un albero di prima grandezza, con tronco dritto, corteccia grigio-argentea (da cui l’epiteto specifico), rami principali disposti regolarmente lungo il tronco, più o meno orizzontali e progressivamente raccorciati dal basso verso l’alto. Le foglie sono aghiformi,  lunghe 2-3 cm,  con due linee stomatiche longitudinali bianco-cerose nella pagina inferiore. Le pigne a maturità sono lunghe 10-18 cm. E’ legato a climi temperato-freddi, con buona piovosità ed elevata umidità atmosferica. Predilige suoli fertili, freschi e profondi, e forma consorzi puri o misti con l’Abete rosso (sulle Alpi), con il Faggio e con il Cerro. Il suo areale si estende sui rilievi dell’Europa meridionale, con nucleo principale alpino e centro-europeo e diramazioni appenninica e balcanica. In Italia è presente sulle Alpi e lungo l’Appennino dove, con distribuzione frammentata, si estende fino all’Aspromonte.

In Abruzzo l’Abete bianco, protetto dalla Legge Regionale 11.9.1979 n. 45, è presente sui Monti della Laga, sul Gran Sasso e nel Chietino meridionale ai confini con il Molise. In tali località l’Abete è associato al Faggio e anche al Cerro: le abieti-faggete sono i boschi più importanti della nostra regione, sia sotto il profilo naturalistico e fitogeografico, in quanto fitocenosi con significato relittuale/residuale, sia dal punto di vista paesaggistico.

 

Pino d’Aleppo – Foto Colazilli

 

I Pini  mediterranei. “. . . Il viaggio accanto alla marina, per 4 o 5 miglia di pianura fino alle foci del fiume Saline fu di dilettevole andare. Imperocchè pascavano gli occhi di vaga verdura di mortella e di pini salvatichi che facevano quasi festoni alla riva del mare. Pascavasi ancora il gusto con la dolcezza della legorizia che assai copiosa nasce in quella riviera ”. Così scriveva Serafino Razzi, padre domenicano, nel suo “Viaggio in Abruzzo” del 1574, a proposito del litorale di Pescara.

Un appunto che conferma la presenza, in quell’epoca, di un paesaggio vegetale del litorale adriatico integro e ricco. La mortella, di cui riferisce, è il Mirto; i pini salvatichi sono i Pini d’Aleppo e la legorizia è la Liquirizia: testimonianze di antiche selve di Pini, di una esuberante macchia mediterranea, di comunità psammofile dunali e di praterie salmastre retrodunali. Di tale  complesso morfologico-vegetazionale costiero rimangono oggi, purtroppo, solo poche vestigia. E, tra le attuali presenze, un posto di primo piano è sicuramente rivestito dal Pino d’Aleppo, un protagonista importante del paesaggio vegetale mediterraneo.

I Pini (famiglia Pinaceae) sono, senza dubbio, tra gli alberi più belli della dendroflora europea. L’uomo li ha frequentemente utilizzati, creando pinete artificiali. In Italia, circoscrivendo l’attenzione ai soli pini mediterranei autoctoni, sono presenti il Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) e il Pino marittimo (Pinus pinaster); introdotto invece da tempi remoti è il Pino domestico (Pinus pinea). In questa sede limitiamo la descrizione al solo Pino d’Aleppo, che è uno dei più diffusi, assieme al Pino domestico, nei parchi e nei giardini. Il suo epiteto scientifico, halepensis (di Aleppo) deriva dall’attuale città di Haleb nella Siria settentrionale, dove un tempo era molto diffuso. E’ indubbiamente il più “mediterraneo” dei nostri Pini. Alto fino a 20 m, ha tronco flessuoso; anche la chioma è irregolare e rada. E’ distribuito lungo il bacino del Mediterraneo, con baricentro centro-orientale; in Italia è presente nei territori peninsulari e nelle isole, dalla Liguria e dall’Emilia-Romagna in giù, con limiti corrispondenti a quelli del clima mediterraneo. Caratterizzato da grande frugalità e resistenza al caldo e alla siccità, è indifferente al tipo di substrato, pur mostrando una predilezione per il calcare. Il suo optimum climatico è quello della fascia mediterraneo-arida, con prolungata siccità estiva, ma è diffuso anche nelle aree mediterranee meno calde e aride; in molti casi penetra nell’area submediterranea. Le pinete a Pino d’Aleppo sono molto aperte e luminose e ciò spiega l’esuberante sviluppo della macchia al loro interno. Pinete molto belle sono quelle del Gargano, insediate in aree rupestri su terreni poco evoluti ed in forte pendenza; quelle insediate sugli antichi cordoni dunali del  Mar Jonio, tra la Puglia e la Basilicata; quelle della Sicilia e della Sardegna. Data la sua grande plasticità ecologica e la sua frugalità, nonché il suo indubbio valore estetico, è frequentemente utilizzato per edificare pinete da impianto e a scopo di arredo verde nei viali cittadini, lungo le strade extraurbane, nei parchi e nei giardini. In Abruzzo, dell’antica, estesa selva costiera con Pini e altre piante mediterranee  sono rimaste poche tracce nella Riserva Naturale Regionale “Pineta Dannunziana”. E’ molto probabile che anche alcuni nuclei collinari della regione derivino da antiche pinete che costituivano il nostro patrimonio forestale autoctono.

 

Tasso – Foto Colazilli

 

Il Tasso (Taxus baccata, famiglia Taxaceae). E’ una Conifera arborea dioica (è cioè una specie in cui i fiori dei due sessi sono portati da individui distinti), a lento accrescimento, con corteccia liscia, rossastra, desquamantesi con l’età. Le foglie hanno forma di aghi appiattiti, sono tenere, acute ma non pungenti, lunghe da 15 a 25 mm, di colore verde scuro di sopra, più chiare di sotto. I fiori maschili sono riuniti in piccoli coni gialli e quelli femminili sono isolati e verdognoli. Il seme, a maturità, è circondato da un involucro carnoso a forma di coppa e di consistenza mucillaginosa, detto “arillo”, rosso-vivo a maturità e di sapore dolciastro. L’arillo è l’unica parte non velenosa della pianta. E’ un albero molto longevo, potendo superare i 2000 anni.

Vive nei boschi montani di latifoglie decidue e il suo areale comprende l’Europa, il Caucaso ed il Nordafrica. Si avvicina, per distribuzione, ecologia e storia, all’Abete bianco e al Faggio, rivelando così, nei confronti delle esigenze climatiche, un “temperamento” oceanico. Attualmente è sporadico, legato generalmente alle stazioni più umide e con scarse oscillazioni termiche, come relitto di una flora terziaria, preesistente quindi alle glaciazioni quaternarie e decimata a seguito del  peggioramento climatico, oltre che per persecuzione umana. Le cenosi appenniniche con Tasso, legate in modo peculiare alle forre, ai valloni e alle altre stazioni ombreggiate ed umide, rappresentano quindi i relitti di quella vegetazione di “laurifille” (le sempreverdi di ambiente temperato) molto ben rappresentata nell’Era Terziaria e della quale facevano parte anche l’Agrifoglio, l’Alloro, il Bosso e la Dafne laurella.

In Abruzzo è presente, anche se in modo sporadico, su tutti i massicci montuosi, generalmente nelle faggete. Esemplari di grandi dimensioni si possono osservare nelle Riserve Naturali Regionali “Zompo lo Schioppo” e “Abetina di Rosello”, oltre che nella faggeta dei Monti Pizzi, nel Vallone del Fossato (Majella), nel bosco di Palena e al Bosco Martese (Monti della Laga). È specie protetta dalla Legge Regionale 11.9.1979 n. 45. Sopporta bene sia l’inquinamento che le potature ed è stato molto usato a scopo ornamentale, anche come specie da ars topiaria nei giardini all’italiana e tuttora viene spesso impiegato per formare grandi siepi, oltre che come esemplare singolo. Sono state selezionate varie cultivar ornamentali, caratterizzate da portamento colonnare o fogliame di colore giallo dorato.

 

Abete bianco – Foto Colazilli

 

L’Alloro (Laurus nobilis, famiglia Lauraceae). E’ un arbusto o piccolo albero sempreverde. Le foglie,  ellittiche o lanceolate, sono  coriacee, con margine intero o ondulato. I fiori, piccoli e giallognoli, riuniti in ombrelle, sbocciano tra marzo e aprile. Il frutto è una drupa ovoide lunga 1 cm circa, nero-violacea a maturità.

Allo stato spontaneo vegeta in stazioni umide come i valloni freschi e le gole rupestri, a cavallo tra l’orizzonte mediterraneo e quello submediterraneo. Le formazioni di Alloro più tipiche si trovano in Sicilia e Sardegna, dove rappresentano i relitti di estese foreste presenti nell’Era Terziaria, quando il clima era di tipo subtropicale. Rara nel Mediterraneo, la foresta di “laurifille”, cioè di piante a foglie persistenti ma con lembo più largo e più morbido rispetto alle sclerofille, è ben rappresentata attualmente nelle Isole Canarie. Vive nel Bacino del Mediterraneo, dalla Penisola Iberica all’Asia Minore. In Italia  è presente in tutto il territorio, ma quasi sempre è coltivato e a volte naturalizzato. Viene ritenuto autoctono solo in stazioni di rifugio fresche e umide.

In Abruzzo è molto diffuso in coltivazione e per questo è difficile distinguere  le stazioni primarie da quelle nelle quali si è naturalizzato. Le comunità vegetali in cui si afferma in modo ottimale sono localizzate nei valloni e forre, soprattutto nel chietino subcostiero-collinare, dove si associa all’Olmo campestre (Ulmus minor) oltre che, in particolari situazioni, all’Ontano nero (Alnus glutinosa). Non sono rari inoltre i boschi di Roverella (Quercus pubescens s.l.) con Alloro e le boscaglie nelle quali l’Alloro domina nettamente.

Gli antichi Greci indicavano l’Alloro col nome di daphnè: la mitologia ci ha tramandato la leggenda della ninfa Daphne che, per sfuggire al dio Apollo, venne trasformata in Alloro, albero sacro a questo dio. Come simbolo di immortalità, il popolo ellenico lo usava nei sacrifici e lo offriva in omaggio ai sacerdoti e agli eroi, quale testimonianza di gloria, usanza che si è mantenuta fino ai nostri tempi estendendosi anche all’incoronamento dei poeti e diventando altresì simbolo di premio (la ”laurea”) per chi supera gli studi universitari. Per la sua importanza storica, culturale ed estetica, è una delle piante più comunemente utilizzate nei parchi e giardini, sia con esemplari isolati o a gruppi che, in particolare, per la costruzione di bellissime siepi.

Il Crespino (Berberis vulgaris, famiglia Berberidaceae). E’ un arbusto con molte spine e rami eretto- arcuati, grigi e striati longitudinalmente. Le foglie sono caduche, leggermente cuoiose, lunghe fino a 5-6 cm, oblanceolato-spatolate,  lucide e verde scuro nella pagina superiore, più chiare in quella inferiore, con margine dentellato e peloso-spinoso; sono riunite in gruppi all’ascella di un ciuffo di 2-3 spine. I fiori, sboccianti a maggio-giugno, sono piccoli, gialli, riuniti in racemi. Il frutto è una bacca fusiforme, rossa a maturità, lunga 8-10 mm.

Mediamente eliofilo, vegeta nelle siepi e ai bordi dei boschi, dalla pianura alla fascia montana. Il suo areale comprende l’Europa e l’Asia. In Italia è comune sulle Alpi e rara nella Padania e nella Penisola fino al Pollino. Per il suo fogliame, che in autunno si colora in un bel rosso scuro, per le splendide e precoci infiorescenze e per i vistosi frutti, oltre che per la sua rusticità, questo arbusto è utilizzato come pianta ornamentale, soprattutto nella costruzione di siepi.

Il Crespino è “ospite intermedio” per la ruggine del frumento (Puccinia graminis). Questo fungo parassita, dal complicato ciclo biologico, in primavera si insedia nelle foglie del Crespino producendo numerosissime e particolari spore in grado di germinare sul frumento. Per tale circostanza, che ne ha spesso limitato l’utilizzazione, è sconsigliata la sua coltivazione vicino ai campi di grano. Il nome del genere Berberis sarebbe legato alla lucentezza delle foglie; nel linguaggio fenicio infatti la voce barbar aveva il significato di “brillante lucentezza”; anche la voce greca berberi indicava la lucente madreperla.

 

Bosso – Foto Colazilli

 

Il Bosso (Buxus sempervirens, famiglia Buxaceae). E’ un arbusto o piccolo albero sempreverde, a lento accrescimento e molto longevo (può vivere anche più di 500 anni). Le foglie hanno lamina ovale,  coriacea, lunga fino a 2 cm. I fiori, sboccianti a marzo-aprile, sono piccoli, giallastri e riuniti in glomeruli; il frutto è una capsula obovoide  di7-8 mm. Specie amante del caldo e tendenzialmente ombrofila, rustica e adattabile a vari substrati, rifugge dai suoli umidi e dai climi freddi, prediligendo terreni poco compatti, permeabili, carbonatici. Vive nei boschi termofili di latifoglie, nei cespuglieti e nelle garighe rupestri submediterranee. Il suo areale si estende in Europa atlantica e mediterranea fino al Caucaso. In Italia è presente sulle Alpi occidentali e sull’Appennino settentrionale e centrale fino alla Campania e all’Abruzzo. Il Bosso è da annoverare tra le piante ornamentali più largamente usate, soprattutto per bordure e siepi; è tipicamente impiegato  nel giardino  all’italiana, data la facilità con cui, attraverso appropriate potature, si può mantenere nelle volute forme geometriche.

 

Coronilla – Foto Colazilli

 

Le Leguminose arbustive. Nella flora autoctona italiana vi è una moltitudine di arbusti molto decorativi, caducifogli, appartenenti alla famiglia delle Leguminosae (oggi Fabaceae), alcuni di ambiente mediterraneo, altri legati a climi temperati. Sono accomunati, oltre che dalla struttura del fiore (papilionaceo), dal suo colore: un giallo dalle mille sfumature. Alla categoria come qui circoscritta afferiscono, in Italia, vari generi. Ampia è la possibilità di scelta e non è possibile, in questa sede, descrivere in dettaglio le varie specie, quindi ne daremo, di seguito, solo un elenco:

Calicotome (Ginestre spinose), con  C. infesta subsp. infesta, C. spinosa e C. villosa; arbusti con rami molto intricati e spinosi e foglie piccole, trifogliate;

Colutea (Vescicaria), con C. arborescens; arbusto robusto con foglie imparipennate; un altro elemento decorativo è rappresentato dal frutto che è un legume rigonfio-vescicoloso, rosso-ramato nel fresco, biancastro nel secco;

Coronilla ed Emerus (Cornette), con C. valentina ed E. major; arbusti con foglie imparipennate;

Cytisus (Citisi), con C. sessilifolius (oggi Cytisophyllum sessilifolium), C. decumbens, C. hirsutus, C. nigricans, C. scoparius, C. spinescens, C. villosus;  arbusti con foglie piccole, trifogliate o semplici;

Genista (Ginestre), con G. januensis, G. radiata, G. tinctoria, G. germanica, G. aetnensis (endemica di Sicilia e Sardegna), G. cilentina (endemica della Campania), ecc.; arbusti con foglie semplici o trifogliate;

Spartium, con S. junceum (Ginestra comune o odorosa); arbusto molto comune, dai fiori profumatissimi;

Laburnum (Maggiociondoli), con L. anagyroides e L. alpinum; assumono anche portamento arboreo e sono molto decorativi per i lunghi e ricchi racemi penduli.

 

Biancospino – Foto Colazilli

 

I Biancospini (genere Crataegus, famiglia Rosaceae). Sono arbusti o piccoli alberi, generalmente spinosi, diffusi nelle regioni temperate dell’Emisfero Boreale. Le loro foglie, caduche, sono dentate, lobate o pennatifide e i fiori, bianchi nella maggior parte delle specie, sono generalmente riuniti in infiorescenze corimbose. I frutti sono dei piccoli pomi.

I Biancospini sono molto decorativi sia nel periodo della fioritura sia in autunno e in inverno, quando si ricoprono di ricchi e vistosi frutti; per tale motivo alcune specie sono ampiamente utilizzate nei giardini e nelle siepi. A proposito delle recinzioni in cemento o in metallo, che nel tempo hanno sostituito sempre più le siepi vive, il famoso erborista Pierre Lieutaghi si chiedeva, già  negli anni ‘60 del secolo scorso, “se la sola nozione di bellezza di una siepe naturale di Biancospino abbia mai sfiorato la mente degli imprenditori di tale disastro”. Gli antichi Greci consideravano il Biancospino come simbolo della speranza e per tale motivo era portato nelle processioni religiose ed era usato per adornare gli altari. In  Italia  vivono,  allo  stato  spontaneo,  5 entità di Biancospini, tra specie e sottospecie.  In Abruzzo sono presenti due specie: Crataegus  monogyna e C. laevigata. Inoltre è presente, come alloctona casuale, Crataegus azarolus.

I Sorbi. Le specie del genere Sorbus (famiglia Rosaceae) sono alberi o arbusti caducifogli, diffusi nelle regioni temperate dell’Emisfero Boreale. Le foglie sono intere, lobate o pennate. I fiori, bianchi o rosei, sono riuniti in infiorescenze corimbiformi. I frutti sono dei piccoli pomi; le sorbe (o sorbole) del Sorbo comune, molto aspre quando sono acerbe, diventano gustosissime a completa maturazione;  a tale proposito sembra che il nome derivi dal celtico sor = aspro.

Noti da tempi antichissimi, i Sorbi sono citati nei classici latini che si occupano di agricoltura. Di essi si sono ottenute diverse varietà da frutto e ornamentali. Quelli spontanei rivestono un ruolo importante sia come componenti  delle  cenosi  forestali  che come  riserva  di cibo per la fauna attiva durante l’inverno.

In Italia sono presenti, tra specie e sottospecie, 14 entità. In Abruzzo vivono, allo stato spontaneo, il Sorbo montano, con due sottospecie (Sorbus aria subsp. aria e S. aria subsp. cretica), il Sorbo degli uccellatori (S. aucuparia), il Sorbo comune (S. domestica), il Ciavardello (Sorbus torminalis) e il Sorbo alpino (S. chamaemespilus), oltre ad alcuni ibridi tra S. aria, S. aucuparia e S. torminalis. Per la loro eleganza, per la vistosità delle fioriture e dei frutti, peraltro molto appetiti dalla fauna, i Sorbi meriterebbero una maggiore attenzione e un più incisivo impiego nei parchi e nei giardini.

 

Alaterno – Foto Colazilli

 

L’Alaterno (Rhamnus alaternus, famiglia Rhamnaceae). E’ un arbusto sempreverde, raramente  piccolo albero), con foglie ovali-lanceolate, coriacee e fiori giallastri, piccoli, unisessuali su piante distinte; il frutto è una drupa subsferica di 3-5 mm di diametro, rosso scuro o brunastra a maturità. Il suo legno è di odore sgradevole e per tale motivo è conosciuto anche con il nome di Legno puzzo. Fiorisce da febbraio ad aprile ed i frutti maturano a luglio-agosto. Specie amante della luce, vive su substrati aridi, rupestri o sabbiosi, lungo i litorali, ma si spinge anche nell’interno fino a quote di 700-800 m; è un tipico elemento della lecceta e della macchia mediterranea. Vive nell’Europa meridionale, in Asia occidentale e in Africa settentrionale. In Italia è presente nella porzione peninsulare e nelle isole. L’Alaterno è un elemento decorativo soprattutto nell’impianto di grandi macchie e siepi in ambiente mediterraneo.

Il Bagolaro (Celtis australis, famiglia Ulmaceae). E’ un albero imponente e longevo, a fusto dritto e chioma densa ed espansa; le foglie sono ovate o oblungo-lanceolate, seghettate; i fiori sono piccoli e verdicci; il frutto è una drupa tondeggiante, di circa 1 cm, nerastra a maturità; fiorisce ad aprile-maggio. Ama la luce e il caldo e vive in luoghi aridi e assolati, su suoli di preferenza calcarei e anche molto rocciosi, nei quali riesce a insinuarsi con il profondo apparato radicale (per tale motivo è conosciuta anche con il nome di “Spaccasassi”). La sua area geografica di distribuzione comprende il Bacino del Mediterraneo e le Isole Azzorre. In Italia è presente in tutto il territorio; è probabile che l’attuale diffusione sia legata alla sua ampia coltivazione, sia in campagna che in città, essendo specie che facilmente si naturalizza. laro si presta bene per alberature stradali, parchi e giardini, oltre che per il rimboschimento di pendii aridi e sassosi.

 

Faggio – Foto Colazilli

 

Il Faggio (Fagus sylvatica, famiglia Fagaceae). Le specie afferenti al genere Fagus, diffuse nelle zone temperate dell’Eurasia e dell’America settentrionale, rivestono grande importanza forestale ed economica per gli svariati usi del legname. Sono anche piante molto ornamentali, disponibili in numerose varietà.

Il Faggio presente in Italia (Fagus sylvatica) è un albero alto fino a 40 metri, longevo, a tronco dritto e cilindrico, con rami grossi e nodosi che formano una chioma conica-ovoidale, densa; nelle radure i rami crescono suborizzontali e poi ascendenti sì da formare una chioma molto ampia. La corteccia è liscia, sottile, di colore grigio-argenteo, spesso ricoperta di licheni. Le foglie sono sono ovato-ellittiche, a margine intero e leggermente sinuoso, con peli presenti sul margine. I fiori, incospicui, sboccianti ad aprile-maggio, sono disposti in infiorescenze unisessuali. I frutti, detti faggiole, sono delle noci lunghe 1-2 cm, racchiuse, in numero di 2, nell’involucro dell’infiorescenza che a maturità è lignificato (cupola) e che si apre in 4 valve. L’areale si estende in Europa ed in Asia occidentale ed in Italia è presente in tutte le regioni, esclusa la Sardegna.

Il Faggio forma ampi e densi boschi nelle aree a clima temperato-fresco con carattere oceanico, su suoli profondi, In Italia l’optimum climatico è legato alla montagna, dove la presenza della faggeta delimita il piano montano, costituendo il principale e più imponente rappresentante  della foresta montana di latifoglie. Forma consorzi forestali nei quali è dominante, ma spesso si associa all’Abete bianco e a diverse caducifoglie quali Querce, Carpini, Aceri, Frassini,Tigli. Per la sua maestosità, che si  rivela soprattutto quando cresce isolato, per l’eleganza del fogliame, che in alcune varietà colturali assume una colorazione rossastra, per la notevole longevità, il Faggio, vero re dei boschi montani, è una preziosa presenza nei parchi e nei giardini.

Le Querce (genere Quercus, famiglia Fagaceae). Sono alberi, talora arbusti, con foglie persistenti o caduche, a volte “semipersistenti” quando la caduta è ritardata alla primavera dell’anno successivo. Sono presenti, con numerose specie, in Europa, Asia, Africa mediterranea e America centro-settentrionale. I fiori, incospicui, sono riuniti in amenti (i maschili penduli, i femminili solitari o raccolti in piccole spighe). Il frutto è una noce (ghianda) provvista  alla base di una coppa, detta “cupola”, formata da scaglie sovrapposte.

Le Querce vivono in diversi ambienti, da termoxerici a mesici a umidi, dove costituiscono boschi puri o misti nell’ambito delle più importanti e diffuse formazioni forestali della Terra. L’importanza  delle Querce è attestata  anche dalla storia delle civiltà mediterranee, con frequenti richiami a tali alberi come piante utili o come simbolo di forza e vigore. Sembra che il nome Quercus derivi dal celtico quer (bello) e cuez (albero).

In Abruzzo sono presenti nove specie:  Leccio (Quercus ilex subsp. ilex), Roverella (Q. pube- scens subsp. pubescens), Quercia virgiliana (Q. virgiliana), Quercia di Dalechamps (Q. dalechampii), Cerro (Q. cerris), Cerro-Sughera (Q. crenata), Rovere (Q. petraea subsp. petraea), Farnia (Q. robur subsp. robur), Farnetto (Q. frainetto).

Nella presente nota verranno illustrate sinteticamente solo il Leccio e la Roverella, anche perché sono le specie che ritroviamo più spesso nei parchi e giardini.

 

Leccio – Foto Colazilli

 

Il Leccio rappresenta il principale protagonista del paesaggio vegetale dell’Italia mediterranea. Le antiche foreste litoranee erano edificate da imponenti Lecci, che le rendevano cupe e selvagge: “neri boschi di Leccio”, come ci ricordano Virgilio e tanti altri scrittori classici. Erano boschi sacri agli Etruschi, ai Greci ed ai Romani. Numerose città italiche vennero fondate in località impreziosite da grandi Lecci, ad auspicarne la fortuna e la prosperità.  Anche l’epiteto specifico ilex è il nome romano del Leccio. Dal latino ilignus = di Leccio, deriverebbe quindi il termine lignum e l’attuale “legno”. E’ un albero spesso maestoso, alto fino a 20-25 metri, a chioma ampia e densa e tronco massiccio. In condizioni ambientali sfavorevoli può assumere un portamento arbustivo. E’ una sclerofilla sempreverde e perciò le foglie, cuoiose, sono persistenti (vivono mediamente 2-3 anni). La sua plasticità ecologica la rende protagonista in situazioni anche molto diverse, potendo vegetare dagli ambienti costieri fino alle zone interne termicamente favorevoli, a oltre 1000 m di altitudine. In condizioni ambientali ottimali costituisce la foresta mediterranea di sclerofille sempreverdi, quasi sempre però degradata a macchia.

E’ distribuito nel bacino del Mediterraneo, soprattutto occidentale, ed è presente anche sulle coste atlantiche del Marocco e della Francia. In Italia vive lungo la Penisola e nelle Isole, con stazioni relitte intorno ai laghi prealpini.

Imponenti esemplari di Leccio, che superano il metro di diametro, vegetano nella Villa Turchi di Francavilla al Mare, in provincia di Chieti.

 

Roverella – Foto Colazilli

 

La Roverella caratterizza, con i suoi nuclei di bosco, il paesaggio della fascia collinare. A dispetto del suo nome questa quercia, quando viene lasciata libera di crescere, possiede un portamento maestoso, potendo superare anche i 20-25 metri di altezza. Purtroppo ciò accade molto raramente, perché il bosco di Roverella viene governato, nella quasi totalità dei casi, a ceduo e, quindi, la turnazione dei tagli non permette a questa bella e frugale latifoglia di esprimersi in tutto il suo vigore. Che, invece, possiamo apprezzare in qualche maestoso esemplare, a volte di dimensioni veramente notevoli, sfuggito al taglio nel bel mezzo dei campi o lungo le stradine interpoderali.

La Roverella ha un fusto molto ramificato e spesso contorto, con chioma ampia ed irregolare. I rami giovani, così come la pagina inferiore delle foglie, sono coperti da un denso tomento di peli biancastri: da qui l’epiteto specifico del binomio latino: Quercus pubescens. La sua area di distribuzione comprende l’Europa centrale e sudorientale, fino alla Crimea, al Caucaso ed all’Asia Minore. In Italia è uno degli alberi più comuni nella fascia collinare-basso montana. Circa la sua ecologia, si sottolinea che si tratta di un albero molto frugale, amante della luce e  del calore, indifferente al tipo di suolo; si afferma, così, anche sui terreni poco profondi e lungo i versanti caldo-aridi, dove costituisce boschi luminosi, accompagnata da poche altre specie arboree ed arbustive.

Esemplari di grande taglia, presenti in ambito urbano e anche lungo la viabilità extraurbana, vengono spesso sacrificati per presunte esigenze di spazio o di sicurezza. La Roverella, assieme ad altre querce come la Farnia ed il Cerro, meritano sicuramente, ove lo spazio lo consente, un utilizzo più frequente nei parchi e giardini.

La Betulla bianca (Betula pendula, famiglia Betulaceae). E’un albero che può raggiungere, e a volte superare, l’altezza di 25 m. Il tronco è eretto, con rami secondari sottili e penduli che formano una chioma leggera. La corteccia è liscia e bianca, interrotta da fessure scure e desquamantesi in sottili lamine orizzontali, di consistenza papiracea. Le foglie sono semplici, con lamina triangolare-rombica lungamente acuminata all’apice, con margine dentato. I fiori, piccolissimi e sboccianti a marzo-aprile, sono riuniti in amenti unisessuali posti su individui diversi. L’infruttescenza è strobili forme, lunga fino a 4 cm; i frutti sono delle nucule provviste di due ali.

E’ una specie amante della luce, con temperamento spiccatamente pioniero. Raramente tende a formare boschi puri mentre più comunemente costituisce, nell’ambito dei consorzi forestali dell’orizzonte montano, nuclei ai margini del bosco e nelle radure, spesso come elemento ricostruttivo anche in stazioni molto acclivi e su pendici detritiche, grazie alla sua grande capacità colonizzatrice. Sulle Alpi e Prealpi e nelle brughiere dell’alta Pianura Padana si rinviene soprattutto in boschi di Conifere; sugli Appennini si associa al Faggio, al Castagno e alle Querce. La sua area di distribuzione geografica comprende l’Europa e l’Asia fino al Caucaso, all’Iran e all’Altaj.

In Italia vive sulle Alpi e Prealpi; sugli Appennini è presente, con stazioni relitte e puntiformi, dalla Liguria alla Campania e dall’Emilia-Romagna al Molise. In Abruzzo, dove è  protetta dalla Legge 11.9.1979 n. 45, sono note varie stazioni nelle quali la Betulla è presente con poche decine e in qualche caso alcune centinaia di individui: Monti della Laga, Gran Sasso, Sirente-Velino, Majella, Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise .

Il portamento molto elegante, con numerose e leggere ramificazioni pendule, il colore bianco della corteccia, l’ingiallimento autunnale delle foglie,  la rendono preziosa come pianta ornamentale.

I Carpini.  Con il nome di “Carpini” ci si riferisce alle specie legnose che appartengono a due generi diffusi nelle regioni temperate dell’Emisfero boreale: Carpinus e Ostrya (famiglia Betulaceae).

In Italia vivono due specie del genere Carpinus: C. betulus (Carpino bianco) e C. orientalis (Carpinella o Carpino orientale), ed una specie del genere Ostrya: O. carpinifolia (Carpino nero). In tutte e tre le specie le foglie sono semplici, a lamina ellittica e seghettata, che nelle tre specie si differenziano per alcuni caratteri: nel Carpino bianco sono lunghe fino a 10 cm, più consistenti e con nervature robuste e rilevate; nel Carpino nero hanno stessa lunghezza ma sono più leggere e con nervature non rilevate; nella Carpinella sono più piccole e superano raramente i 4 cm di lunghezza; quest’ultima specie inoltre assume spesso un aspetto arbustivo.

Circa l’ecologia delle tre specie, si sottolinea che il Carpino bianco ama i boschi molto freschi, il Carpino nero è meno mesofilo e la Carpinella è comune nei boschi termofili. I Carpini sono utilizzati come specie ornamentali nell’arredo verde di parchi, viali e giardini, oltre che per il recupero di terreni degradati e per il consolidamento di quelli franosi. Per la loro eleganza meriterebbero maggiore attenzione, anche perché sono disponibili in diverse varietà, ad esempio quelle “fastigiate”, preziose nei casi di viali con spazi esigui.

I Pioppi (genere Populus, famiglia Salicaceae). Sono arboree a legno tenero e a rapido sviluppo, di dimensioni e di forma variabile a seconda che siano prodotte dai ricacci (detti “turioni”) o dall’albero adulto. I Pioppi sono piante dioche, cioè i fiori dei due sessi sono portati da individui distinti ed hanno fiori maschili e femminili riuniti in infiorescenze pendule del tipo amento dette anche “gattini”. I frutti sono delle capsule deiscenti, contenenti semi molto piccoli e provvisti di un ciuffo di peli bianchi e cotonosi che favoriscono la disseminazione. Tali ciuffi di peli sono molto noti in quanto nella tarda primavera formano una caratteristica lanugine.

I Pioppi, come i Salici, vegetano spontaneamente lungo i fiumi e in altri luoghi umidi; a differenza dei Salici prediligono terreni con buon drenaggio. Sono ampiamente coltivati e si ibridano facilmente; diffusissimi in coltivazione sono gli ibridi tra il Pioppo nero ed il Pioppo americano, che risultano più vigorosi e maggiormente produttivi. La propagazione avviene spesso per via vegetativa. Sono diffusi nelle regioni temperate dell’Emisfero Boreale, con baricentro nell’America settentrionale e nell’Asia orientale.

In Abruzzo sono presenti, allo stato spontaneo, il Pioppo bianco (Populus alba), il Pioppo nero (P. nigra), il Pioppo tremolo (P. tremula) e, più raro, il Pioppo gatterino (Populus canescens), quest’ultimo forse ibrido fra P. alba e P. tremula. Bellissimi esemplari, a volte imponenti, di Pioppi sono presenti in vari parchi e giardini, oltre che lungo le strade urbane ed extraurbane.

Il Mirto (Myrtus communis, famiglia Myrtaceae). E’ un arbusto sempreverde, talvolta con portamento di alberello molto ramificato, con corteccia rossastra, desquamante. Le foglie sono semplici,   coriacee, con lamina lanceolata o ellittica ricca di ghiandole aromatiche. I fiori, sboccianti da maggio a luglio, sono bianchi. Il frutto è una bacca ovoidale, nero-cerulea a maturità. Specie eliofila e termofila, è il tipico componente della macchia mediterranea. E’ presente in tutto il Bacino del Mediterraneo. In Abruzzo, dove è specie protetta dalla Legge Regionale 11.09.1979 n. 45, vive in varie località costiere ed anche in qualcuna interna. Il Mirto era una pianta sacra a Venere e a Bacco, considerata dai Greci e dai Romani simbolo di onore, di bellezza e di gloria eroica. Con il cristianesimo la pianta diventa propiziatrice per l’abitazione degli sposi.

Nei giardini delle aree mediterranee è ampiamente coltivato come pianta ornamentale.

 

Acero – Foto Colazilli

 

Gli Aceri. Assieme ai Frassini e ai Tigli, gli Aceri (famiglia Aceraceae) vengono annoverati dai forestali tra le latifoglie “nobili”, sia per il legno, che riveste notevole interesse economico, che per la loro eleganza.

Sono piante arboree o, meno frequentemente, arbustive, di origine molto antica. Hanno foglie semplici, palmato-lobate o composte, caduche o, più raramente, persistenti. I fiori sono riuniti in racemi pendenti, in grappoli eretti o in pannocchie. Il frutto è una disamara, cioè una samara formata da due pezzi appaiati, con ampia ala.

Il nome del genere deriverebbe dal termine latino acer, con il significato di duro, tenace (con riferimento alla durezza del legno), o di acuminato, appuntito (con probabile riferimento alla forma delle foglie). In Italia vivono, allo stato spontaneo, 8 specie, oltre ad Acer negundo, coltivato, di origine americana, che si è spontaneizzato.

In Abruzzo sono presenti ben 7 specie, e cioè: Acero riccio (Acer platanoides), Acero di Lobel (A. cappadocicum subsp. lobelii), Acero campestre o Oppio (A. campestre), Acero di monte (A. pseudoplatanus), A. opalo (Acer obtusatum subsp. obtusatum), Acero napoletano ( A. obtusatum subsp. neapolitanum), Acero minore o di Montpellier (Acer monspessulanum). L’Acero di Lobel è uno dei pochi alberi endemici presenti in Italia. Il più maestoso è l’Acero di monte, la cui altezza può arrivare anche a 30-35 metri.

Gli Aceri non formano quasi mai dei boschi puri, ma entrano nella composizione di varie tipologie di consorzi forestali di caducifoglie, dal mare alla montagna. Da alcune specie (Acer saccarum e, in minor misura, A. pseudoplatanus e A. platanoides) si estrae, per incisione sul tronco, un liquido zuccherino contenente fino al 4% di saccarosio che, concentrato e solidificato, viene messo in commercio con il nome di “zucchero d’Acero”, molto apprezzato nel Nordamerica. A tale proposito si ricorda che Acer saccarum è l’emblema nazionale del Canada.

Nelle tradizioni religiose, soprattutto nel Medioevo, gli Aceri sono stati, e a volte sono tuttora, anche in Abruzzo, tra gli alberi elettivi quali luoghi epifanici per i santi e la Madonna, luoghi scelti in quanto elementi di collegamento tra terra e cielo. Per la varietà e l’eleganza del fogliame, per i loro straordinari cromatismi stagionali (in autunno il colore delle foglie varia dal giallo al rosso, con tutte le sfumature intermedie), per la vistosità, in alcune specie, delle infiorescenze, per la loro duttilità ecologica, gli Aceri sono preziose piante ornamentali adatte a viali, parchi e giardini.

I Tigli. Il genere Tilia (famiglia Tiliaceae) è diffuso nelle zone temperate dell’Emisfero Boreale con baricentro nell’Asia orientale, oltre che in aree subtropicali. Sono piante arboree con foglie decidue, semplici, a margine crenato-dentato. I fiori sono riuniti in infiorescenze cimose i cui peduncoli portano lateralmente una caratteristica brattea allungata e appiattita che serve a facilitare la disseminazione a opera del vento; il nome di questo genere deriva proprio dal greco ptilon che significa “ala”.

Specie mesofile, tollerano escursioni termiche ampie e sono piuttosto esigente dal punto di vista edafico; prediligono suoli freschi, profondi e fertili, ricchi di basi, spesso calcarei, ma anche di diversa origine, purché non argilloso-compatti o molto sabbiosi. In Europa non formano, in genere, boschi puri, ma si rinvengono, sporadici o a piccoli gruppi, soprattutto nei boschi montani e submontani di latifoglie mesofile. In  tale ambito, il Tiglio nostrano è particolarmente legato ai boschi temperato-freschi di forra e di fondovalle, che presentano una localizzazione condizionata dalle caratteristiche del substrato, determinato dall’accumulo di materiale detritico proveniente dal disfacimento del versante e di materiale organico che favorisce la pedogenesi di suoli profondi, eutrofici e ben drenati.

I Tigli fanno parte, come gli Aceri, delle latifoglie “nobili”. A ulteriore riprova della loro “nobiltà” si sottolinea che i Tigli sono stati considerati sacri fin dall’antichità presso i Germani e gli Slavi; all’ombra di questi luminosi, solenni e longevi alberi, dai fiori profumatissimi, si danzava, si trattavano affari e si amministrava la giustizia; ai loro tronchi si appendevano oggetti votivi. Simboli di amore e fedeltà, sono presenti in varie opere della letteratura classica e di quella europea del secolo scorso. I Tigli sono piante molto longeve, come testimoniano numerosi esemplari che superano diverse centinaia di anni di vita; famoso è il Tiglio di Staffelstein, in Germania, che supererebbe i 1600 anni!

In Italia sono presenti, allo stato spontaneo, il Tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), con tre sottopsecie (subsp. platyphylos, subsp. cordifolia e subsp. pseudorubra), e il Tiglio selvatico (T. cordata). Le due specie si distinguono per il frutto (una piccola noce globosa, che il T. platyphyllos è provvista di coste poco salienti mentre in T. cordata le coste sono nettamente salienti) e per le foglie (che nella prima specie hanno ciuffi di peli biancastri alla biforcazione delle nervature nella pagina inferiore, mentre nella seconda specie i peli sono rosso-ferruginei). A queste  si aggiunge  Tilia x vulgaris, ibrido naturale tra le due prime specie. A scopo ornamentale sono coltivati in tutta Italia anche T. americana, T. heterophylla (di origine nordamericana) e T. tomentosa (a distribuzione ovest-asiatica e sud- est-europea). Notevole è il valore decorativo dei Tigli, per cui vengono comunemente  utilizzate nei parchi, nei giardini e nei viali cittadini, anche grazie alla loro resistenza agli inquinanti atmosferici.

 

Corniolo – Foto Colazilli

 

I Cornioli (genere Cornus). A questo genere appartengono numerose specie caducifoglie, distribuite nelle regioni temperate dell’Emisfero Boreale, con baricentro in quelle atlantiche nordamericane e dell’Asia orientale. Sono piante nella quasi totalità arboree o arbustive, con foglie opposte, da rotondato-ellittiche  a ellittico-acuminate; i fiori sono piccoli, riuniti in infiorescenze ombrelliformi; i frutti sono delle drupe. Il termine Cornus sarebbe da mettere in relazione con la rassomiglianza tra il legno di queste specie e l’aspetto compatto delle appendici cornee animali.

In Italia vivono due specie dal portamento arbustivo: il Corniolo maschio (Cornus mas) e il Corniolo sanguinello (C. sanguinea subsp. hungarica). L’epiteto specifico mas, latino, vuol dire “maschile”, con riferimento al legno particolarmente duro, in contrapposizione al Corniolo sanguinello, che Plinio chiamava Cornus foemina. In realtà i termini “maschio” e “femmina” sono impropri in quanto entrambe le specie sono a fiori bisessuali. Le due specie differiscono soprattutto per i fiori (nel Corniolo maschio piccoli, di 2-3 mm, gialli, sboccianti prima delle foglie, da febbraio ad aprile; nel Corniolo sanguinello più grandi, di 5-6 mm, bianchi, sboccianti dopo la fogliazione, da aprile a giugno) e per le drupe (nel C. maschio di colore rosso-scarlatto a maturità -le succose e rinfrescanti corniole-, lunghe fino a 2 cm; nel C. sanguinello nero-bluastre a maturità, lungi 5-8 mm).

Il Corniolo maschio è tendenzialmente termo-xerofilo. L’areale comprende l’Europa e l’Asia occidentale. In Italia è presente in tutto il territorio con esclusione della Sicilia e della Sardegna. Il Corniolo sanguinello predilige suoli fertili e profondi ma si adatta anche a terreni poveri e superficiali. Ha lo stesso areale del Corniolo maschio e in Italia è presente in tutto il territorio. Ambedue le specie vivono nelle siepi, negli arbusteti e nei boschi di caducifoglie.

I Cornioli sono molto utili nei giardini come piante ornamentali. In particolare, il Corniolo maschio si distingue soprattutto per le precoci fioriture che lo rivestono, all’inizio della primavera, di un delicato colore giallo, e per i frutti di colore rosso,  di un grato sapore acidulo, che maturano alla fine dell’estate.

 

Corbezzolo – Foto Colazilli

 

Il Corbezzolo (Arbutus unedo, famiglia Ericaceae). E’ un arbusto o piccolo albero con corteccia dei rami adulti bruno-rossastra, sfaldantesi. Le foglie sono coriacee, ovali-lanceolate, a margine dentellato. I piccoli fiori, bianco-giallastri o sfumati di roseo, sono riuniti in grappoli penduli. Il frutto è una bacca sferica di circa 2 cm, carnosa e rossa a maturità, ricoperta di tubercoli. Fiorisce in ottobre-novembre  ed i frutti maturano nell’anno successivo alla fine dell’estate e in autunno, per cui vi sono contemporaneamente sulla pianta fiori e frutti.

Specie amante del caldo e della luce, predilige i suoli siliceo-argillosi, pur vegetando anche su altri substrati. È  un elemento tipico della macchia mediterranea. Resiste al fuoco ed è di grande capacità pollonifera. In Italia è presente nella sezione peninsulare, oltre che in Sicilia, Sardegna e Isole minori. I frutti del Corbezzolo sono eduli, anche se un po’ insipidi: da qui l’epiteto specifico unedo = unum tantum edo: ne mangio uno solo. La concomitante produzione di frutti rossi e fiori bianchi fra settembre e dicembre, associata al verde intenso delle foglie, fanno del Corbezzolo una elegantissima pianta da giardino. Nel Risorgimento, proprio per i colori che assume in autunno, uguali a quelli della bandiera nazionale, era considerato un simbolo del tricolore.

 

Frassino – Foto Colazilli

 

I Frassini (genere Fraxinus, famiglia Oleaceae). Sono diffusi, allo stato spontaneo, nelle regioni temperate e subordinatamente tropicali dell’Emisfero Boreale.

In Italia sono presenti 4 entità: l’Orniello (Fraxinus ornus subsp. ornus),  il Frassino maggiore (F. excelsior subsp. excelsior), il Frassino meridionale (Fraxinus angustifolia) con due sottospecie (subsp. oxycarpa e  subsp. angustifolia). Il nome generico Fraxinus deriva dal latino phraxis (siepe), per il loro antico uso nella costruzione delle siepi o per segnare i confini. Sono piante arboree, più raramente arbustive, con foglie caduche, imparipennate, e fiori piccoli, riuniti in infiorescenza a pannocchia o a racemo. Il frutto è una samara appiattita fornita di un’unica ala terminale. Notevole è la loro capacità pollonifera. Notevole è il valore ornamentale di queste piante, utilizzate nei parchi, nei giardini e nei viali cittadini.

Le specie presenti in Italia si differenziano per la forma e il numero dei segmenti fogliari e della loro seghettatura, oltre che per il colore delle gemme, caratteri che spesso non sono facili da discriminare. Facile è invece l’identificazione dell’Orniello in fioritura, perché i piccoli fiori hanno corolla con petali bianchi riuniti in vistose pannocchie, mentre il Frassino maggiore e quello meridionale hanno fiori incospicui, senza calice e corolla.

Il Frassino meridionale è tendenzialmente igrofilo, vive nei boschi umidi, nei valloni e nelle forre; proprio a causa della degradazione degli ambienti umidi è diventato sporadico. Il Frassino maggiore è un elemento dei boschi misti mesofili di caducifoglie, dei boschi di forra e di quelli planiziari. Nella letteratura forestale, assieme ad altre latifoglie come Olmi, Tigli, Aceri e Ciliegi, è incluso tra le latifoglie “nobili”, quelle cioè che, presenti sporadicamente, rivestono notevole interesse per la loro rarità e il particolare pregio tecnologico, estetico e naturalistico. Non a caso gli è stato assegnato l’epiteto specifico excelsior che significa “veramente alto”, “maestoso”; così come non è un caso che viene chiamato “Venere dei boschi”. L’Orniello (conosciuto anche con il nome di Frassino minore), infine, è eliofilo e moderatamente termo-xerofilo, adattato a climi temperato-caldi con aridità estiva. È tra le più diffuse e frequenti caducifoglie ed è specie accompagnatrice nei boschi di Roverella, di Carpino nero, di Cerro, di Faggio e anche di Leccio. E’ esteticamente rilevante a primavera, quando  si ricopre letteralmente di una coltre di infiorescenze bianche.

 

Agrifoglio – Foto Colazilli

 

L’Agrifoglio. Nel ricco panorama botanico italiano l’Agrifoglio (Ilex aquifolium, famiglia Aquifoliaceae) è, indubbiamente, una delle piante maggiormente evocative. Assieme all’Abete, al Vischio e al Ginepro, richiama alla mente il Natale.

Per il suo fogliame persistente, per i suoi fiori e i suoi frutti, l’Agrifoglio è una delle piante legnose più ornamentali della nostra flora. Si tratta di un arbusto o piccolo albero sempreverde, le cui foglie hanno una consistenza cuoiosa ed un bel colore verde intenso lucido, con margine provvisto di spine negli individui giovani.  I fiori, bianchi (sboccianti ad aprile-maggio), ed i frutti (che sono delle drupe), rossi a maturità in ottobre, completano il quadro estetico dell’Agrifoglio. Specie a distribuzione europea centro-sud-occidentale, il suo habitat di elezione è la faggeta termofila, dove vive spesso assieme al Tasso, che ne condivide le esigenze ecologiche. Si tratta, quindi, di una pianta legata a climi di tipo atlantico, con inverni miti ed umidi ed estati non molto aride. Il suo portamento è generalmente arbustivo, in conseguenza delle trascorse “persecuzioni” in quanto considerata pianta “di ingombro”, ma nelle aree in cui le utilizzazioni del bosco sono state sospese da molto tempo, si possono osservare esemplari di Agrifoglio di grandi dimensioni come,  ad esempio, in Abruzzo nel Bosco di S. Antonio a Pescocostanzo. Nei giardini e nei parchi è coltivato anche con le sue diverse varietà.

Conclusioni

Il giardino storico è considerato un bene culturale, in quanto in tale categoria è inclusa “qualsiasi manifestazione o prodotto dell’ingegno umano che abbia carattere di eccezionalità o valore artistico, qualunque testimonianza dell’evoluzione materiale e spirituale dell’uomo e del suo sviluppo civile” (Ruocco, 1979).

In  tal senso, il giardino storico promuove interessi scientifici e culturali ma anche, semplicemente, interessi ludici, generati dalla bellezza delle forme e dei colori che suscitano nel visitatore emozione e godimento intellettuale. Non bisogna poi dimenticare che l’apertura al pubblico è fonte di attrazione turistica e, quindi, di sviluppo economico, con ricadute anche sulle altre attività presenti nel territorio. I giardini storici possono svolgere, inoltre, un importante ruolo nella rappresentazione e custodia dei più significativi paesaggi vegetali del territorio nei quali hanno sede, attraverso la ricostruzione, sintetica ma fedele, delle comunità vegetali identitarie regionali.

Nella consapevolezza dell’importanza di tali istituzioni e della necessità di una loro tutela, è opportuno, in conclusione, richiamare l’attenzione sulla Carta per la salvaguardia dei giardini storici, che, all’articolo 25, così recita:

L’interesse verso i giardini storici dovrà essere stimolato con tutte quelle azioni adatte a valorizzare questo patrimonio ed a farlo conoscere e apprezzare: la promozione della ricerca scientifica, gli scambi internazionali e la diffusione delle informazioni, la pubblicazione e l’informazione di base, lo stimolo all’apertura controllata dei giardini al pubblico, la sensibilizzazione al rispetto della natura e del patrimonio storico da parte dei mass-media. I giardini storici più importanti saranno proposti perchè figurino nella Lista del Patrimonio Mondiale”.

E’ un auspicio cui aderiamo con ferma convinzione.

 

Prof. Gianfranco Pirone. Già Professore Ordinario di Geobotanica ed Ecologia Vegetale presso l’Università dell’Aquila

Articolo pubblicato su Fratello Albero n.5 del 2016

 

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