Il Bagolaro: un gigante buono

Il Bagolaro: un gigante buono

 

Un solo albero basta

  per un’ombra fresca e scura:

  bagolaro.”

Kobayashi Issa

 

 

Il secolare Bagolaro di Capestrano (AQ). Uno dei più grandi d’Italia, caduto nel 2017. – Foto Colazilli

 

Sebbene non sia molto conosciuto, il Bagolaro merita, per i motivi che verranno di seguito esposti, un posto di primo piano nel panorama delle piante arboree.

Quando, settimanalmente, percorrevo la Strada Statale 153 della Valle del Tirino, non mancavo di fare una breve deviazione fino a Capestrano per rivedere il maestoso, pluricentenario Bagolaro, il più grande d’Abruzzo, che dominava la piazza del paese. Fu con grande sconcerto apprendere, dagli amici del Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio (Co.n.al.pa.), che, nell’ottobre 2017, era caduto.

Il Bagolaro è un albero appartenente al genere Celtis, già afferente alla famiglia Ulmaceae e recentemente trasferito nella famiglia Cannabaceae per motivi filogenetici. Tale genere è distribuito nelle regioni temperate e tropicali dell’Asia e, secondariamente, dell’Europa e dell’America settentrionale.

In Italia è presente, allo stato spontaneo, con due specie: Celtis australis subsp. australis (diffuso il tutte le regioni), il cui areale comprende il bacino del Mediterraneo e le Isole Azzorre, e C. tournefortii, endemica della Sicilia con le due sottospecie aetnensis e asperrima.

Il nome generico deriva dal greco kelós, “nero”, forse con riferimento ai frutti nerastri.

Il Bagolaro è un albero longevo, caducifoglio, alto fino a 25 m, a fusto dritto, spesso breve e molto ramificato, scanalato alla base, con chioma densa ed espansa. La corteccia è grigia, liscia e con piccole striature orizzontali. Le foglie, di  1-6 x 4-15 cm, sono alterne, con picciolo lungo fino a 15 mm, da ovate a oblungo-lanceolate, con apice molto acuminato e base cuneato-arrotondata, sviluppate in modo asimmetrico rispetto alla nervatura mediana. La lamina è superiormente verde scuro, scabra, a margine seghettato, inferiormente verde-chiaro, pubescente, con tre nervature principali originatesi dal picciolo. I fiori, piccoli, verdicci e generalmente peduncolati, possono essere unisessuali o bisessuali, solitari o riuniti in piccoli grappoli. Fiorisce ad aprile-maggio. Il frutto è una drupa tondeggiante di circa 1 cm. Dapprima verde, a settembre-ottobre, a maturità, diventa nerastro.

E’ molto frugale, ama la luce e si adatta ai luoghi aridi e assolati, su suoli di preferenza calcarei e anche rocciosi, nei quali riesce a insinuarsi con il profondo apparato radicale. E’ per tale motivo che è conosciuto anche con il nome di “spaccasassi”. Il nome “bagolaro” invece deriva dal dialetto del Norditalia ‘bàgola’ (che significa ‘manico’), legato verosimilmente dall’utilizzo del legno per la costruzione di utensili.

Nel nostro Paese si spinge fino a 800 m di altitudine. Oltre a essere un elemento della vegetazione rupicola (colonizza talvolta anche ruderi e vecchi muri), si rinviene pure nei boschi termofili di caducifoglie.

E’ probabile che l’attuale diffusione sia legata alla sua ampia coltivazione, in campagna e in città, essendo specie che facilmente si naturalizza. In Abruzzo è presente in tutto il territorio, anche se, per il motivo già esposto,  è difficile stabilirne la distribuzione primaria.

Longevo e a rapido accrescimento, il Bagolaro si presta bene per il rimboschimento di pendii aridi e sassosi e, in virtù della fitta ombra della sua chioma ma anche della sua resistenza all’inquinamento urbano, per creare straordinari viali alberati.

Non è difficile osservare nei campi, soprattutto nella Pianura Padana,  grandi, solitari Bagolari che offrivano, e offrono, ombra al riposo dei contadini.  In Italia sono numerose le segnalazioni di Bagolari monumentali. Per l’Abruzzo sono presenti a Casacanditella e San Martino sulla Marrucina in provincia di Chieti (su segnalazione  di Alberto Colazilli del Co.n.al.pa) ed a  Lecce di Marsi e Prata d’Ansidonia in provincia dell’Aquila (su segnalazione di Caterina Artese, Alberi Monumentali d’Abruzzo; Edizioni Cogecstre).

Il legno del Bagolaro, duro, compatto, elastico, di colore grigio-biancastro o giallastro, è utilizzato per la costruzione di pezzi di macchine che richiedono tenacità e flessibilità,  e di ruote, stanghe, remi, stecche da biliardo, basti e lavori di tornio. I suoi rami forniscono ottime fruste come quelle, molto note, usate in ippica. Tale uso era comune in Romagna, dove la frusta (in dialetto romagnolo ‘parpignen’) era realizzata intrecciando due lunghi e flessibili rami.

Il legno e il carbone sono ottimi combustibili. È pianta mellifera e il fogliame rappresenta un ottimo foraggio. La corteccia ha proprietà concianti e tintorie e conferisce una colorazione gialla alla lana.

Nella medicina tradizionale le foglie, in virtù del loro potere astringente, lenitivo e rinfrescante per la presenza di tannini e mucillagini, si utilizzavano in decotto nei casi di diarree, enteriti e infezioni intestinali, oltre che per mitigare le infiammazioni del cavo orale e della gola mediante sciacqui e gargarismi. I frutti hanno un sapore dolce e gradevole; in cucina si utilizzano per ricavarne una deliziosa confettura. Sono molto appetiti dagli animali e soprattutto dagli uccelli, responsabili della sua disseminazione. I semi, per spremitura, danno un olio simile a quello delle mandorle dolci. Essendo molto duri, venivano utilizzati anche per la fabbricazione dei rosari; da questo uso deriva la denominazione di “albero dei rosari”. Dai ragazzi venivano usati per lanciarli con la cerbottana, costruita soprattutto con i fusti delle canne.

Il Bagolaro, inoltre, è una pianta che si adatta particolarmente alla coltivazione come bonsai.

Non poteva mancare, anche per il Bagolaro, qualche leggenda. Tra i nomi del magnifico albero vi è anche quello di ”arcidiavolo”. Eccone la leggenda: fu Lucifero a portarlo sulla terra in quanto nella sua caduta dal Paradiso pare che stringesse tra gli artigli proprio un suo ramo, il quale proliferò sulla terra conservando traccia della diabolica origine nella curiosa forma delle foglie, appuntite e ricurve come artigli.

Povero Bagolaro! No, proprio non merita tale infernale riferimento! Viva il Bagolaro!

 

Prof. Gianfranco Pirone – Botanico

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