Il Vischio, simbolo di rigenerazione

Il Vischio, simbolo di rigenerazione

 

Se ella fosse stata il Vischio
E io fossi stata la Rosa –
Quanta gioia sulla tua tavola
La mia vita di velluto concludere –
Poiché io sono dei Druidi –
E lei è della rugiada –
Ornerò l’asola della Tradizione
E invierò la Rosa a te.

Emily Dickinson

 

 

Il solstizio d’inverno è tempo di miti.  E il Vischio, pianta molto significativa nelle mitologie germaniche e mediterranee, è, assieme all’Abete, all’Agrifoglio, al Pungitopo e al Ginepro, uno dei simboli augurali delle feste di Natale e Capodanno. In questo periodo è uso appendere rami di Vischio agli usci delle case, tradizione ereditata dai Celti, che consideravano questa misteriosa pianta  un dono degli dei: misteriosa e sacra per la sua biologia, trattandosi di pianta emiparassita([1]) che, priva di radici, nasce e cresce sui rami di un’altra pianta.

Il suo simbolismo verrebbe accostato anche all’episodio, raccontato da Virgilio nell’Eneide, del “ramo d’oro” di Enea, eroe troiano che, come gli spiega la Sibilla cumana, non sarebbe potuto mai scendere nel Tartaro per rivedere il padre Anchise se prima non avesse staccato da un albero il ramo con le foglie d’oro, che viene identificato con il Vischio. Della mitologia del Vischio si tratterà più avanti, dopo aver dato qualche notizia sulle caratteristiche morfologiche ed ecologiche delle specie che vengono associate al nome del Vischio e che appartengono alla famiglia delle Loranthaceae.

Questa famiglia include piante erbacee o arbustive, generalmente prive di un normale apparato radicale e viventi da emiparassite su rami o tronchi di altre piante, sui quali si insediano per mezzo di radici modificate chiamate “austori”. Le foglie sono verdi, persistenti o caduche, semplici, di consistenza cuoiosa. I fiori sono unisessuali o bisessuali, rudimentali o vistosi, solitari o riuniti in infiorescenze a spiga, racemo o pannocchia. Il frutto è una bacca o una drupa contenente da 1 a 3 semi. Sono diffuse, con numerose specie, nelle regioni tropicali e, secondariamente, in quelle temperate e fredde.

In Italia vivono 3 specie: il Vischio comune (Viscum album), emiparassita su varie latifoglie e conifere; il Vischio quercino (Loranthus europaeus), emiparassita sulle querce; il Vischio del Ginepro (Arceuthobium oxycedri), emiparassita sui ginepri. In Abruzzo vivono le prime due specie, sulle quali ci soffermeremo.

Vischio comune su un Mandorlo nella Piana di Navelli (AQ) – Foto G. Pirone

 

Il Vischio comune (Viscum album)

E’ un arbusto dioico, lungo fino a 70-80 cm, molto ramificato, di aspetto complessivo globoso, eretto o più o meno pendulo. I rami sono verdi, biforcati e ingrossati ai nodi. Le foglie sono sempreverdi, opposte, sessili, lanceolato-spatolate (lunghe 3-6 cm, larghe 1,5-3 cm), coriacee, a nervature parallele. I fiori sono piccoli, verdicci, riuniti in fascetti. Il frutto è una bacca sferica, bianco-perlacea, di 5-10 mm di diametro. Fiorisce da marzo a maggio; i frutti maturano a novembre-dicembre. Vive da emiparassita sui rami di vari alberi e arbusti (Peri, Meli, Mandorli, Aceri, Biancospini, Pini, Abeti, ecc.). Si rinviene fino a 1000-1200 m di altitudine. La diffusione dei semi è affidata agli uccelli che si nutrono delle sue bacche e che li depongono, direttamente sfregandosi il becco o indirettamente tramite gli escrementi,sui rami, dove germinano. E’ distribuito in Europa, Asia centro-orientale, Asia Minore e Africa nord-occidentale. In Italia è presente in tutte le regioni. In Abruzzo è comune. Nella  Piana  di Navelli  e nella  Conca  Aquilana ha “colonizzato” in modo massiccio gli esemplari di Mandorlo, oltre che alcuni di Pioppo nero ibrido.

Vischio Quercino – Foto B. Santucci

 

Il Vischio quercino (Loranthus europaeus)

E’ anch’esso un arbusto  dioico,  lungo  fino ad  80-100  cm, con numerose ramificazioni dicotomiche, a rami un po’ fragili, con corteccia bruno-grigia. Le foglie sono caduche, verde scuro e cuoiose, ellittiche o oblanceolate, lunghe fino a 25 mm e larghe fino a 10 mm circa, con una nervatura principale ed alcune secondarie. I fiori sono piccoli (3-4 mm), giallo-verdicci, riuniti in cime lunghe 1-3 cm. Il frutto è una bacca gialla, sferica, di 6-10 mm di diametro. Fiorisce ad aprile-maggio;  i frutti maturano a novembre-dicembre.

È una specie emiparassita sui rami delle querce caducifoglie, raramente anche su Castagno, Faggio e Olivo, dai quali, tramite austori (radici modificate), trae acqua e sali minerali. Vive fino ad 800-1000 m di altitudine e la diffusione, come per il Vischio comune, è operata dagli uccelli, soprattutto tordi, golosissimi delle sue bacche. Il suo areale comprende l’Europa centro-meridionale e orientale e l’Asia Minore. È presente in tutta la Penisola dall’Emilia-Romagna e Toscana in giù, oltre che nel Triestino e in Sicilia. Anche se in modo sporadico, la specie si rinviene in tutto l’Abruzzo, dalla fascia collinare vicina alla costa fin oltre i 1000 m. E’ stata osservata su Roverella, Cerro e Castagno.

Una semplice chiave per l’identificazione delle due specie può essere la seguente:

–  Foglie persistenti, verdi-giallognole, verdi nel secco, con nervi paralleli evidenti; corteccia verde-giallognola; bacca bianco-perlacea .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  Viscum album

–  Foglie caduche, verdi-brune, arrossate nel secco, con nervi pennati indistinti; corteccia verde- bruna; bacca gialla  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .   Loranthus europaeus

Qualche appunto sulla mitologia del Vischio

Presso i Celti, e presso tutte le loro tribù stabilitesi in vari territori europei, era molto affermato il culto delle querce. Per i loro sacerdoti, i Druidi, niente era più sacro della quercia e, come conseguenza, di tutto ciò che nasceva su tale albero. Era sacro, quindi, anche il Vischio, che credevano fosse una manifestazione della divinità sulla Terra e rimedio contro tutti i mali.

Si deduce che il Vischio della mitologia germanica debba identificarsi con il Vischio quercino,  molto più raro del Vischio comune. E’ però verosimile che anche quest’ultimo abbia svolto, in tale contesto, un ruolo importante.

Circa le modalità con cui si svolgevano i riti legati a questa pianta, Plinio il Vecchio così ci tramanda nella Historia naturalis: “Peraltro il vischio di rovere è molto raro a trovarsi e quando viene scoperto lo si raccoglie con grande devozione: innanzi tutto al sesto giorno della luna e questo perché in tal giorno la luna ha già abbastanza forza e non è a mezzo. Dopo aver apprestato secondo il rituale il sacrificio e il banchetto ai piedi dell’albero, fanno avvicinare due tori bianchi a cui per la prima volta sono state legate le corna. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull’albero, taglia il vischio con un falcetto d’oro e lo raccoglie in un panno bianco…Ritengono che il vischio, preso in pozione, dia la capacità di riprodursi a qualunque animale sterile, e che sia un rimedio contro tutti i veleni ”.

I sacerdoti immergevano poi il Vischio in una pozione, che veniva distribuita per guarire malattie e sortilegi: come le simpatiche storie di Asterix, Obelix  e Panoramix insegnano …. ([2]).

In un altro capitolo della sua opera, Plinio riporta che “… il vischio più efficace sia quello colto…senza usare strumenti di ferro e senza fargli toccare la terra: guarirebbe gli epilettici ed aiuterebbe le donne a partorire se appena ne portino addosso un po’; infine avrebbe un’azione efficacissima sulle piaghe, su cui va messo dopo averlo masticato”.

Circa gli aspetti legati alle superstizioni, come ricorda Jaques Brosse, la credenza secondo la quale il Vischio potesse guarire l’epilessia si è conservata fin quasi ai giorni nostri in vari territori dell’Europa centro-settentrionale.

Una spiegazione di tale credenza, secondo George Frazer (1854-1941), antropologo e storico scozzese delle religioni, può essere la seguente: poichè il Vischio  non può cadere in terra in quanto è radicato su un ramo dell’albero, la conseguenza è che l’epilettico non possa cadere, durante un attacco della malattia, finchè porta un pezzo di Vischio in tasca o, in alternativa, dopo aver bevuto un suo decotto.

Questa spiegazione è conforme alla credenza medievale della signatura rerorum (firma delle cose), secondo cui sia possibile determinare le proprietà medicinali e terapeutiche di alcune piante basandosi sulla loro forma esteriore.

 

Vischio quercino su Roverella – Foto G. Pirone

 

Un tempo, il rapporto tra il Vischio e l’albero appariva, per alcuni aspetti, alquanto insolito. Difatti, mentre l’albero, in inverno, è in riposo vegetativo e sembra morto, il Vischio presenta le foglie di un intenso verde dorato e i suoi frutti giungono a maturazione. Come sottolinea Jaques Brosse (1922-2008), psicanalista, scrittore e specialista di botanica e storia delle religioni, nel libro “Mitologia degli alberi”, “Si direbbe che tutta la vita dell’albero sia raccolta in quello che per i botanici è solo un parassita; che se ne stia lì, concentrata, fra terra e cielo”.

A tale proposito, George Frazer, nella sua opera “ Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione”, scrive: “D’inverno gli adoratori dell’albero dovevano salutare la vista del fresco fogliame fra i rami nudi, come segno che, se la vita divina non animava i rami, sopravviveva nel vischio, come il cuore di chi dorme batte ancora quando il corpo è inerte. Perciò, quando il dio doveva essere ucciso -ossia quando l’albero sacro doveva essere bruciato- era necessario cominciare col cogliere il vischio. Finchè questo rimaneva intatto, la quercia (così pensava il popolo) era invulnerabile: i colpi di coltello e di scure sarebbero scivolati inutilmente sulla sua superficie. Ma una volta strappato dalla quercia il suo sacro cuore -il vischio- l’albero si sarebbe piegato, morirebbe…”.

Si comprende  perché il Vischio nella mitologia sia stato un simbolo di rigenerazione ed era perciò collegato con l’inizio dell’anno; un simbolo della luce che trionfa sulle ombre degli inferi. Per la sua natura solare, la sua provenienza dal cielo e il suo legame con il solstizio d’inverno, il Vischio ha inoltre ispirato ai cristiani il simbolo del Cristo. Nella cattedrale di York, in Inghilterra, alla vigilia di Natale un ramo di Vischio veniva collocato, durante una cerimonia, sull’altare maggiore. Al rito si associava la proclamazione della pace universale.

Anche oggi il ramo di Vischio è presente nelle nostre case quale simbolo augurale per il nuovo anno e come amuleto contro le avversità. E sotto il Vischio, come da antica usanza, ci si scambia il primo bacio dell’anno con la persona cara.

Il Vischio è una pianta tossica, tuttavia ad esso vengono attribuite diverse proprietà. In fitoterapia vengono impiegate principalmente le foglie, fresche o essiccate, colte prima della formazione dei frutti.

Nella medicina popolare è utilizzato come purgante, ma gli vengono attribuite anche virtù antispasmodiche, diuretiche, antinfiammatorie e ipotensive, per cui viene impiegato in alcune patologie quali ipertensione, angina, arteriosclerosi, leucorrea, sciatica e disturbi della menopausa e della circolazione. Il decotto di Vischio è un ottimo rimedio contro i geloni.

Alcune sostanze contenute all’interno delle parti erbacee della pianta sarebbero dotate, secondo alcuni, di effetti antitumorali. Non vi sono però, a tutt’oggi, studi di qualità  sufficienti, effettuati in esseri umani, che consentano di dire che questa pianta possa essere considerata un farmaco anticancro.

Si sottolinea che, trattandosi di pianta tossica, le sue utilizzazioni potrebbero risultare dannose per la salute. In particolare le sue bacche, se ingerite, sono in grado di provocare vomito e diarrea fino allo shock.

Un’utilizzazione molto antica, e decisamente inaccettabile, è quella delle bacche per preparare una sostanza vischiosa (la “pania”) usata per catturare piccoli uccelli.

Insomma, raccogliamo qualche rametto di vischio non per curarci, ma per ornare le nostre case  e quale auspicio per uscire presto da questo tempo di grande incertezza. E lasciamo in pace gli uccelletti.

 

Note

([1]) Emiparassita: è una pianta verde autotrofa  (quindi capace, attraverso la fotosintesi clorofilliana, di elaborare le sostanze organiche), che completa la sua nutrizione minerale a spese di altri vegetali verdi.

([2])  Asterix venne creato nel 1959 dal soggettista Renè Goscinny e dalla matita del disegnatore Albert Uderzo per il settimanale francese “Pilote”. Le storie di Asterix sono ambientate nella Gallia ai tempi di Giulio Cesare, quando i romani occuparono gran parte di questo territorio. Le avventure di Asterix hanno avuto uno straordinario successo in tutto il mondo.

 

Prof. Gianfranco Pirone – Botanico

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