Le Rose, che passione!

Le Rose, che passione!

 

Ho portato la malinconia del mio cuore

su per la collina

 dove le rose selvatiche sono in fiore

Yosa Buson

 

Una delle rose coltivate più famose, la Rosa di Damasco (Rosa x damascena)

 

Lo scrittore inglese Bill Laws, nel capitolo del libro dedicato alla Rosa canina([1]), sottolinea che “il linguaggio del profumo è sempre stato comune a tutti: l’antenata della donna che si profuma i polsi prima di uscire nella notte newyorchese faceva in pratica la stessa cosa nell’antica Persia, 2500 anni fa”.

Secondo la tradizione, infatti, fu nella Persia, l’attuale Iran, che si iniziò ad usare l’olio essenziale di rosa, estratto per la massima parte dalla Rosa di Damasco (Rosa x damascena)([2]): per ottenere 25 ml. di olio occorrono 10.000 suoi fiori! Della regina dei fiori sono note circa 16.000 varietà, derivate dalle rose spontanee di Europa, Asia e Nordamerica, e altre se ne aggiungono di continuo. Belle sì, ma la stagione della loro fioritura, ad eccezione delle varietà rifiorenti, è breve. Il poeta inglese  Robert Herrick (1591-1674), esponente della scuola del Poeti cavalieri, con i suoi versi avvertiva: “Raccogliete le rose finchè potete / Il tempo fugge ancora / E lo stesso fiore che oggi sorride / Domani starà appassendo”.

E Fabrizio De Andre’, molto tempo dopo, cantava: “Vorrei dirti ora le stesse cose / ma come fan presto, amore, / ad appassir le rose . . .”. Le rose hanno sempre affascinato gli artisti: poeti, scrittori, pittori, musicisti, si sono ispirati a questi fiori nelle loro opere. Anche Umberto Eco è stato “catturato” dal fascino di questo fiore, che ha scelto per il titolo del suo famoso romanzo edito nel 1980, “Il nome della rosa”. Un romanzo che ha suscitato tante discussioni e interpretazioni e che termina con una frase a prima vista arcana: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus” (“La rosa primigenia esiste in quanto nome: noi possediamo nudi nomi”)([3]).

Da sempre legata alle divinità femminili, nell’immaginario collettivo la rosa è stata nel tempo associata a simboli e significati diversi, complessi e duplici, a seconda del contesto: l’amore passionale e la purezza e la verginità, l’elevazione spirituale e la vanità, il tempo e l’eternità, la bellezza, la grazia, la sensualità, la voluttà e, per la sua rapidità nell’appassire, la decadenza, la sofferenza e la morte.

La rosa come metafora della femminilità e dell’amore è cantata dal poeta “giullare” del ‘200 Cielo d’Alcamo: “ Rosa fresca aulentissima ch’apari inver’ la state, / le donne ti disiano, pulzell’ e maritate: / tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate; / per te non ajo abento notte e dia, /  penzando pur di voi, madonna mia. . . .”.

La rosa ha ispirato anche sentimenti religiosi, come il valore contemplativo che assume nel cristianesimo. É il caso della “rosa dei beati” nel XXXI Canto del Paradiso dantesco: “In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia santa…”.

Le rose sono anche protagoniste  di vari modi di dire. Ne ricordiamo qualcuno:

-Se son rose fioriranno. Questo proverbio viene citato per incoraggiare la prosecuzione di un progetto, un lavoro, il cui esito positivo è condizionato da eventi non prevedibili.

-Non c’è rosa senza spine. Locuzione legata alla figura retorica della rosa: ogni cosa gradevole (il fiore di rosa) ha qualche aspetto spiacevole (le spine).

-Essere fresco come una rosa. Essere riposato, vivace, pieno di energie. In senso ironico, si dice di colui che, dopo aver fatto qualcosa di spiacevole (o aver causato preoccupazione), si presenta con aria innocente e spavalda.

-All’acqua di rose. L’acqua di rose è una soluzione di essenza di rose molto delicata, che deterge ma non cura.  Dire che una cosa è “all’acqua di rose”  significa evidenziare che è fatta con superficialità, senza impegno, in quanto sarebbe una soluzione che controlla solo l’emergenza ma non la risolve.

Oltre che nel panorama del simbolismo floreale, le rose  possiedono una forte centralità anche  nel mondo, molto concreto, della vegetazione. Sono legate precipuamente agli arbusteti e alle siepi, ma crescono anche nei pascoli sassosi, nei campi abbandonati, sulle rupi e nei boschi, soprattutto quelli aperti e luminosi. Appartenenti al genere Rosa (famiglia Rosaceae), sono arbusti con rami sarmentosi, rampicanti, spinosi, diffusi nelle regioni temperate e subtropicali dell’Emisfero Boreale.

Le foglie sono alterne, imparipennate, a margine generalmente dentato. I fiori, bisessuali, hanno corolla grande, variamente colorata, e numerosi stami. Il ricettacolo, a forma di coppa, a maturazione diventa carnoso dando origine a un falso frutto chiamato “cinorrodio”, che contiene i veri frutti, i quali sono degli acheni circondati da numerose setole rigide. Queste setole, se ingerite assieme al ricettacolo (che quando è maturo è buono da mangiare: ricco di vitamina C, è anche antidiarroico e disinfettante), provocano un fastidioso prurito durante l’evacuazione: è per questo che il nome dialettale delle Rose selvatiche, nel Meridione, è rattacul’, o stracciacul’.

Da tempi immemorabili sono impiegate largamente in floricoltura. È piuttosto difficile stabilire quante siano nel mondo le specie spontanee del genere Rosa, caratterizzato da una straordinaria variabilità. A tale proposito, il botanico austriaco Eduard Pospichal (1838-1905), osservava che “la Natura, proprio in questo genere di piante, ha mostrato di riuscire magistralmente a creare, con mezzi ridotti, da un piano unitario una molteplice varietà di forme”. Per i botanici “di campagna” uno degli gli eventi più problematici è quello di dover assegnare il binomio scientifico ad un esemplare di Rosa. Anche Carlo Linneo, padre della classificazione scientifica moderna e della nomenclatura binomiale degli organismi viventi, nell’opera Specie Plantarum (1753), scriveva: “Species rosarum difficillime distinguuntur, difficilius determinantur” (Le specie di rose si distinguono con difficoltà, sono difficili da determinare).

La grande variabilità del genere Rosa è confermata dal numero di specie spontanee note per il territorio italiano, che ammonta a circa 40, oltre ad alcune  alloctone naturalizzate. Per Abruzzo sono note ben 25 specie([4]). Tra le più comuni vi sono la Rosa canina (Rosa canina), la Rosa sempreverde o di San Giovanni (Rosa sempervirens), la Rosa corimbifera (Rosa corymbifera), la Rosa cavallina (Rosa arvensis). Tra le più rare vi è la Rosa vischiosa (Rosa pulverulenta) e la Rosa di Pouzin (Rosa pouzinii). Una delle più belle è la Rosa alpina (Rosa pendulina), con i fiori di colore rosso o rosa vivo, intensamente profumati. Vive nelle schiarite dei boschi freschi e nei luoghi sassosi ed ombrosi, in limitate aree dei massicci regionali fino ad una altitudine di 2200 metri.

 

Rosa alpina (G. Pirone)

 

 

Rosa cavallina (B. Pierini)

 

Rosa di Pouzin

 

Rosa sempreverde (o Rosa di San Giovanni) (G. Pirone)

 

Rosa vischiosa (G. Gestri)

 

Qui di seguito descriviamo brevemente la specie che è più facile incontrare, perché è la più comune.

 

 

La Rosa canina

 

Rosa di macchia, che dall’irta rama

ridi non vista a quella montanina,

che stornellando passa e che ti chiama

rosa canina . . .

Giovanni Pascoli

 

Rosa canina (G. Pirone)

 

 

La Rosa canina o Rosa selvatica (Rosa canina), è un arbusto caducifoglio alto fino a 3 m, con ampia ramificazione eretto-scandente o, in consorzi chiusi, con fusti principali poco ramificati, glabri. Le foglie, glabre, alterne, hanno 5-7 foglioline da ellittiche a ovate, di 9-25 x 13-40 mm, con margine a seghettatura variabile. I fiori sono isolati o riuniti in corimbi di pochi elementi; i sepali sono laciniati, riflessi all’antesi e poi caduchi prima della maturazione delle infruttescenze; i petali sono bianco-rosei, larghi 19-25 mm e lunghi 20-25 mm. Il cinorrodio è glabro, di forma variabile, rosso scuro a maturità. Fiorisce da maggio a luglio; i frutti maturano in autunno.

Specie eliofila, vive nei boschi radi e ai loro margini, negli arbusteti, nelle siepi, nelle radure, nei pascoli sassosi e nei campi abbandonati, dal piano fino a 1500 m. Il suo areale comprende l’Europa, l’Asia occidentale e centro-meridionale, l’Africa settentrionale. In Italia è presente in  tutto il territorio.

I cinorrodi sono ricchi di vitamine, carotenoidi, acidi organici, pectine e sali minerali. Sono utilizzati, in tisana, nel diabete e nelle malattie renali e della vescica. Possono essere consumati freschi, raccolti dopo le prime gelate che li rendono più dolci e morbidi, avendo l’accortezza di eliminare i semi e le setole che possono creare problemi all’apparato digerente: ne abbiamo già fatto cenno più sopra. L’epiteto specifico della Rosa canina deriva dal greco kunorhodon = rosa dei cani, con riferimento alla tradizione che attribuiva alle radici della Rosa selvatica la proprietà di essere efficaci contro la rabbia. Tale nome è stato poi esteso al cinorrodio.

 

Note

([1]) 50 piante che hanno cambiato il corso della storia. Ricca Editore, 2012.

([2]) La Rosa × damascena non si trova in natura ma è solo coltivata. Secondo la tradizione questa rosa avrebbe la sua patria di origine in Medio Oriente, ma studi di genetica  indicano che si tratta di un ibrido tra Rosa moschata e Rosa fedtschenkoana. Pertanto la sua origine sarebbe da ricercare nell’area pedemontana dell’Asia centrale, che è territorio di origine delle due entità da cui deriverebbe.

([3]) La locuzione latina deriva da un verso del poema De contemptu mundi di Bernardo di Cluny, monaco benedettino francese del XII secolo. Tale verso è spiegato da Umberto Eco in Postille a “Il nome della rosa”: «Bernardo varia sul tema dell’ubi sunt (da cui poi il mais où sont les neiges d’antan di François Villon) salvo che Bernardo aggiunge al topos corrente (i grandi di un tempo, le città famose, le belle principesse, tutto svanisce nel nulla) l’idea che di tutte queste cose scomparse ci rimangono puri nomi».

([4]) Le specie del genere Rosa presenti in Abruzzo sono descritte nel libro di Caterina Artese e Giampiero Ciaschetti, Rose spontanee d’Abruzzo. Cogecstre Edizioni, Penne, 2004.

 

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