L’importanza degli spazi vitali degli alberi e della zona critica radicale. Intervista all’esperto Daniele Zanzi
L’importanza degli spazi vitali degli alberi e della zona critica radicale.
Intervista all’Agronomo di fama internazionale Daniele Zanzi,
Award of Merit della International Society of Arboriculture 2015.
Dott. Zanzi, molto spesso riceviamo segnalazioni di continue alterazioni delle “zone critiche radicali” degli alberi. Che cosa sono e perchè sono estremamente importanti?
“Il vero giardiniere non è colui che coltiva i fiori o gli alberi, bensì chi coltiva il terreno”:
così ebbe a scrivere il noto drammaturgo cecoslovacco Karel Capek nel 1920, giardiniere appassionato dilettante, ma indubbiamente acuto osservatore della natura. Questa verità, compresa anche da un profano quale Capek, è tutt’ora purtroppo ignorata dai molti, anche da coloro che si peccano di avere una professionalità specifica in materia.
Nel 1997 il III Congresso Europeo di arboricoltura organizzato, quando ero Presidente della Sezione Italia di ISA, a Merano aveva come tema “Alle radici dell’albero”, proprio perché voleva enfatizzare e puntualizzare l’importanza del mondo ipogeo per la vita e la sopravvivenza degli alberi, specie quelli in città. Di fatto, fu la prima occasione ed opportunità per discutere e confrontarsi su quello che era un mondo sconosciuto e misconosciuto, quello sotterraneo del terreno e delle radici, da cui di fatto dipende la vita e la vitalità degli alberi. Allora furono gettate le basi per lo studio scientifico e le pratiche operative conseguenti per intervenire su quello che era un mondo invisibile e come tale oggetto di nessuna o poca attenzione.
L’importanza del terreno e delle radici sono fondamentali per la vita di un albero: quello che noi vediamo avvenire nelle parti epigee, di facile riconoscimento perché visibile e manifesto, parimente avviene nel sottosuolo. Le più note funzioni dell’apparato radicale sono quelle di sostenere la pianta e di assorbire elementi minerali ed acqua, ma le radici reidratano anche il suolo, scambiano zuccheri e nutrienti con i propri associati sotterranei attraverso le micorrize. Noi sappiamo anche che le radici muoiono e sono sostituite, proprio come avviene con le foglie; c’è una connessione diretta tra la parte epigea di un albero e la sua parte ipogea: quest’ultima infatti è in equilibrio con la prima per cui la vitalità dell’una riflette le condizioni dell’altra.
Come ogni anno nuovi tessuti sono generati dai germogli della chioma, altrettanto avviene nelle radici! Molti arboricoltori sono attenti solo alla chioma degli alberi e prestano poca attenzione al sistema radicale degli stessi.
La risposta a molti problemi degli alberi è nel suolo; definisco le radici come “il cervello” della pianta: controllano ciò che accade, non solo all’interno della pianta, ma anche nell’immediato ambiente circostante. Le radici nel terreno sono interconnesse con un fitto network in grado non solo di scambiarsi nutrienti e essudati, ma anche informazioni. L’attività degli apparati radicali contribuisce alla fertilità e alla vita del terreno. Questa è la terza funzione, importantissima, ma mai citata, delle radici. Sarebbe più corretto parlare non di sole radici, ma di radici & associati.
Tutti i regolamenti del verde comunali e le stesse linee guida sulla gestione del verde urbano del Ministero dell’Ambiente vietano di realizzare scavi intorno al colletto delle piante. Tuttavia queste regole non vengono sempre rispettate. Quali sono i danni che si possono provocare agli esemplari arborei a medio e lungo termine?
Il problema dei regolamenti oggi è il fatto che esistano e che però non siano applicati o rispettati. In troppi casi, queste norme sono solo vetrine per mettersi a posto la coscienza o per essere sbandierate politicamente; di fatto restano lettera morta, eluse e non applicate. Spiace dirlo, ma i primi a disattenderle sono proprio coloro che hanno commissionato e voluto questi regolamenti: cioè le pubbliche amministrazioni. Fare regolamenti e poi non applicarli è veramente mortificante. Nel medio termine è evidente che il taglio delle radici provoca una perdita di vitalità degli alberi.
Le mutilazioni privano o diminuiscono la capacità di assorbimento di acqua e sali minerali. Evidentemente, se si intaccano anche le radici legnose, a funzione prevalentemente meccanica, ne risente da subito la stabilità. Al Congresso Europeo ISA di Arboricoltura di Torino, presentai un lavoro sperimentale su abeti prima e dopo la mutilazione di una parte degli apparati radicali. Gli alberi, sottoposte a prove dinamiche di trazione SIM, persero entro due mesi dall’evento traumatico oltre il 20 % della loro capacità di tenuta alle sollecitazioni esterne.
Quindi alberi meno stabili anche nel medio termine. I danni più rilevanti sono comunque quelli nel lungo termine; più subdoli, perché si manifestano a distanza di anni, se non di decenni. Le ferite inferte alle radici sono via di entrata per un numero infinito di funghi e batteri. Le ferite sono colonizzate da una successione di microrganismi, batteri e funghi lignicoli che nel tempo porteranno al disfacimento completo o parziale degli apparati radicali.
Danni subdoli, perché nel contempo la crescita secondaria del legno nella parte epigea può consentire una quasi normale attività biologica dell’albero. Nella mia professione mi imbattei, come perito del tribunale, in un caso di un pioppo cipressino schiantatosi alla base sotto un fortunale e che causò due vittime. Tutto l’apparato radicale del pioppo era compromesso, la chioma non mostrava sintomi evidenti e conclamati di deperimento. Bene, l’inizio dei problemi risaliva a ben 24 anni prima, quando furono tagliate per scavare un canale irriguo le radici su due lati dell’albero che era in testata a un filare di 83 altri esemplari (tutti rivelatesi, a posteriori dopo l’affrettato abbattimento, integri e stabili). Quindi le lesioni provocano danni a breve, medio e lungo termine. E a differenza di quanto può avvenire sulla chioma, questi danni sono invisibili e quando ce se ne accorge è troppo tardi.
C’è da riflettere pensando che conosciamo molti più aspetti dei cicli vitali dei patogeni rispetto allo stato di salute delle piante stesse o alle necessità del loro ecosistema. Questo a mio avviso è uno dei principali problemi dell’arboricoltura.
A che distanza bisognerebbe operare per non intaccare o danneggiare gravemente la zona critica radicale degli alberi? E in che modo dovrebbero essere eseguiti questo genere di lavori in prossimità di alberature cittadine?
La natura non è matematica. Trovo abbastanza grossolane e superficiali quelle regole che dettano a priori le distanze di sicurezza o una dipendenza diretta tra diametro del tronco e distanze di sicurezza. Si finisce per standardizzare qualcosa che non lo è in realtà. Anzitutto le radici si spingono ben oltre la proiezione della chioma sul terreno e sono presenti, normalmente , nei primi strati superficiali del terreno – da zero a un metro di profondità-. L’approfondimento delle radici ovviamente dipende dalle condizioni e dal tipo di suolo, ma comunque le radici profonde non sono certo quelle più importanti. Quindi, come regola, se proprio la si vuole, posso dire: state lontani con gli scavi il più possibile; numeri e rapporti sono per i robot; il tecnico deve sapere valutare in base all’albero e alle condizioni del terreno. 10 metri di distanza dal tronco possono non essere sufficienti per un albero maturo che cresce in terreno sciolto, magari coperto in parte da materiale poco permeabile, tipo asfalto. Quindi usare la testa e l’esperienza piuttosto che tabelle e rapporti matematici.
L’albero andrebbe protetto tenendo presente che il costipamento è il nemico numero uno per la vita dei microrganismi che permettono alle radici di svolgere le proprie funzioni. Estrema cautela dunque, con la messa in opera di ripari sopraelevati al terreno, che fungano a mò di camera d’aria e di riparo, con frammezzo magari sabbia, così da evitare schiacciamenti e costipamenti. Se si devono eseguire scavi, farli a mano. Recidere con segaccio a lama tridimensionale le radici e mai strapparle- come è invece la norma – Fare un taglio netto che favorirà l’emissione di tessuti meristematici circolari ed omogenei da cui si formeranno nuove radici.
Le radici non si sviluppano come nelle parti epigee da gemme dormienti, avventizie o punti meristematici interni; ma di norma solo da callo. Tenere il terreno bagnato, apportare terra di coltura ed eventualmente miscele di micro organismi e spore di funghi micorrizogeni.
Una volta alterato o perturbato lo “spazio vitale” degli alberi, c’è possibilità di recuperarlo? O si tratta di un danno irreversibile? A quanto ammonterebbe il costo che la collettività deve pagare a causa di questi danni?
Gli alberi rispondono lentamente alle variazioni dell’ambiente in cui vegetano; ma inevitabilmente queste risposte arrivano. E’solo questione di tempo! La compartimentazione come risposta difensiva funziona – eccome! – anche nelle parti ipogee degli alberi. Anzi, dato che nel terreno una pianta può subire una quantità infinita di ferite, i meccanismi di isolamento e difesa sono molto efficienti e pronti. Ciò si deve anche alla grande riserva di energia, sotto forma di amido, che viene solubilizzato alla bisogna, presente nel parenchima radicale. I tessuti delle radici, proprio perché devono confrontarsi con molte potenziali avversità, hanno molte più capacità di immagazzinare energia rispetto ai tessuti dello xilema. Le ferite provocano reazioni difensive che si traducono in un notevole dispendio energetico. In Natura ogni cosa ha un costo!
In presenza di ferite e maltrattamenti, sarebbe quindi consigliabile intervenire per aumentare la vitalità degli alberi lesionati, andando a stimolare la vita microbica del terreno con adeguati apporti di sostanza organica, di microrganismi e di batteri. Nel tempo nuove radici si formeranno. Gli alberi, nella zona di transizione tra radici e fusto, hanno meccanismi preformati di ostacolo alla risalita di funghi agenti di carie e di questo bisogna tenerne conto. Ricordiamoci poi che non è mai solo un unico fungo che può essere pericoloso, ma che si tratta sempre di una successione e pluralità di microorganismi che competono all’interno del legno tra di loro. Gli alberi hanno in loro meccanismi formidabili di sopravvivenza. C’è però un limite a tutto: continue ferite, compattamento, ristagni idrici, inquinanti, riscaldamento del suolo innescano alla lunga stati di stress fisiologici cui l’albero può soccombere.
Mentre esistono studi che quantificano il valore degli alberi e anche la eventuale diminuzione del loro valore per danni inferti alla chioma, non vi sono parametri per danni inferti alle radici, anche perché questi sono invisibili e si manifestano eventualmente nel tempo. Sarebbe opportuno che, quando si paventino danni agli apparati radicali, dovuti a scavi o a lavori edili in vicinanza, richiedere una polizza fidejussoria a garanzia, esigibile a dieci anni e pari al valore ornamentale dell’albero. Questa è un’idea, una mia proposta: penso che, così facendo, si presterebbero molto più attenzioni alla salvaguardia delle radici.
Riceviamo molteplici segnalazioni di alberi strozzati dal cemento e da pavimentazioni fino al colletto in ambiente cittadino. Cosa fare in certi casi? E cosa accade alla salute dell’albero? E’ possibile recuperare questi alberi?
L’albero in città, più che vivere, riesce a sopravvivere: è infatti sottoposto ad ogni genere di maltrattamento. La sopravvivenza delle piante in città è davvero problematica. In più le radici di solito vivono in spazi ristretti tra edifici e strade oppure al di sotto di marciapiedi in un substrato che chiamare terreno è un eufemismo.
E ’comune poi vedere alberi privati di ogni spazio vitale: alberi con asfalto fino al colletto. Eppure continuano a sopravvivere. Le piante hanno una grande capacità di adattamento; nel tempo si adeguano a queste situazioni di riduzione del livello di ossigeno. Oserei dire che un albero è meno prono ai cambiamenti improvvisi e continui. Un albero che vive su terra battuta ad esempio non comprende perché il livello di ossigeno possa variare continuamente in dipendenza di un carico antropico che varia di giorno in giorno. Le condizioni di copertura con asfalto sembrano ai più le peggiori; in realtà, l’albero fa più fatica a sopportare condizioni magari migliori – come terreno libero -, ma mutevoli. Mai rimuovere l’asfalto in situazioni consolidate da decenni: l’albero, se ancora vivo, si è di fatto adeguato alla situazione e un improvviso cambiamento potrebbe provocare più danni che benefici. Se fin dalla sua messa a dimora, una pianta si trova in situazioni svantaggiate, finirà per adattarvisi, in uno stato di vigoria ridotta, ma di sopravvivenza; parimente se, ad un albero maturo che è vissuto per decenni in una situazione stabile, si modificano le condizioni ambientali, non capirà cosa sia successo e non si adatterà.
Evidentemente questa capacità di resilienza a condizioni asfittiche dipende anche della specie: asfaltate un platano adulto e questo si adatterà; fate lo stesso con un faggio o una quercia europea e questa in breve tempo morirà! Si possono di sicuro migliorare condizioni di asfissia indotte con l’apertura di trincee – con la dovuta attenzione – o fori e il loro successivo riempimento con compost maturo, sostanza organica, agriperlite e biostimolanti. Da decenni interveniamo in siti difficili con queste metodiche ottenendo ottimi risultati e cercando sempre di affinare e migliorare le modalità tecniche operative.
Dott.Zanzi, può spiegarci che cos’è la Rizosfera, di cui si parla molto per la gestione degli alberi? Che importanza ha nel miglioramento della salute delle piante?
Sul termine rizosfera c’è molta confusione: vedo illustrazioni, spiegazioni, articoli in cui rilevo imprecisioni e informazioni errate. Per rizosfera non deve intendersi una semplice porzione più o meno ampia di terreno in cui alloggiano le radici. La rizosfera è una zona – pochissimi millimetri – di attività biologica che circonda le radici fini e in cui avviene il miracolo della vita. E’un vero e proprio laboratorio vivente dove regno vegetale e animale si confondono e si compenetrano, dove è difficile distinguerne le componenti.
Una specie di delicatissimo “brodo primordiale “, invisibile ad occhio nudo, nell’ordine dei micron, ma attivo. Nella rizosfera avvengono gli scambi cationici, vi lavorano milioni di rizobatteri, di funghi, vi sono essudati radicali che fuoriescono dalle radici e che alimentano con i loro zuccheri batteri e microrganismi che demoliscono la sostanza organica.
La rizosfera non è dunque una semplice zona del terreno, ma un vero laboratorio biologico, sensibile e delicato; e come tale necessita per vivere di alcuni parametri essenziali, quali la presenza di ossigeno, la presenza di sostanza organica e la ricchezza di microflora. Principali nemici di questi fattori sono perciò il compattamento, il ristagno idrico, la salinità – apportata dai concimi chimici e dai sali antighiaccio- e gli inquinanti -.
Chi ha orecchi per intendere, intenda!
Osserviamo spesso aiuole cittadine compromesse da terreni compattati e poveri ad opera di continue attività antropiche. Come rimediare a questi danni? Quali azioni eseguire per migliorare e conservare questi spazi?
Risposta semplice: ricalcare quello che la Natura naturalmente fa; quindi no eccessi di acqua, molta sostanza organica, poche lavorazioni, no tappeti erbosi sotto gli alberi, basta con bulbi, bulbetti e annuali ai piedi degli alberi. Così facendo si risparmieranno pure quattrini pubblici (visto che sembrano scarseggiare!)
Sempre in riferimento alle aiuole degli alberi e agli spazi vitali, quali soluzioni si possono trovare per preservarli al meglio in ambiente cittadino? Ad esempio, le griglie metalliche intorno agli alberi cittadini, molto di moda di questi tempi, possono risolvere il problema?
No assolutamente; le griglie ed altri amenicoli sono solo una medicina psicologica per il cittadino o il politico che pensano che così facendo si aiutino gli alberi. In realtà, oltre talvolta a costare più dell’albero, diventano un ricettacolo di inerti e indecorosa spazzatura, onerosa da rimuovere. Altrettanto inutili, se non dannosi, sono i cosiddetti tubi di aerazione che si persiste nel mettere nelle nuove messe a dimora. Questi tubi sotterranei in realtà finiscono da subito per essere otturati da spazzatura o detriti – basta guardare – (ma pochi ammetteranno onestamente di aver sprecato soldi in queste inutili operazioni)
Ogni anno vediamo tantissimi alberi che muoiono a causa delle ondate di calore generate dai cambiamenti climatici, e poi a causa della mancata gestione e innaffiatura. Quali azioni compiere per far sopravvivere gli alberi in situazioni diventate ormai complesse e imprevedibili? Quali azioni eseguire per risolvere il grave problema della siccità?
La vita media di un nuovo albero in città è di soli otto anni. Questi sono dati ufficiali. Evidentemente vi è qualcosa che non va! Tra i fattori esterni- che più contribuiscono a queste morie – vi è senza dubbio la siccità. Gli alberi vanno bagnati e quando scrivo bagnati vuol dire in abbondanza! Possibilmente, anche al di fuori del cosiddetto tondello; perché cosi facendo, si stimola l’apparato radicale a svilupparsi al di fuori della zolla di impianto. E vanno bagnati anche e soprattutto – visto l’andamento degli ultimi anni – in inverno. La pacciamatura – la più ampia possibile con uno strato alto non più di 5 cm.-, con scarti triturati di potatura ritarda l’evaporazione di acqua, la trattiene nel terreno e negli strati superficiali, apporta sostanza organica. Da consigliare sempre e comunque; non capisco il perché ci si ostini a volere erba sotto gli alberi o a impiegare come materiale pacciamante materiali inerti quali lapilli, ghiaia, vetro, sassi. Ripeto: andate in Natura e mai vedrete siffatti materiali! Possono risultare utili le aggiunte al terreno – noi lo facciamo sempre – di idro ritentori biodegrabili che trattengono l’acqua e la ricedono gradualmente contribuendo a evitare stress idrici.
Ci sono al momento specializzazioni professionali in grado di formare al meglio gli addetti ai lavori sulla gestione degli spazi vitali degli alberi e della zona critica radicale?
Penso che solo la conoscenza della biologia degli alberi possa aiutare e istruire. Vi è una grave carenza di conoscenza sulla biologia degli alberi. Ci si vuole focalizzare anziché sul paziente, su tutto quello che vi sta attorno. Troppi vogliono formule, numeri e risposte aprioristiche. Tutto questo può avvenire solo se si conosce il paziente. Non penso che allo stato attuale esistano specializzazioni di questo tipo, né ne vedo la necessità essendo le priorità educative altre e ben più basilari. Esistono la sensibilità e l’esperienza – che deve essere trasmessa -. Molto altro è puro e semplice business, non certo a beneficio degli alberi.