Meno male le Robinie

Meno male le Robinie

 

Mai avrei pensato di spendere due parole in favore di un albero che davvero non amo. La Robinia pseudoacacia, albero nordamericano introdotto in Europa nel diciottesimo secolo, si è naturalizzata così velocemente ovunque, crescendo spontanea in ogni angolo del suolo nazionale, compete e vince con i nostri alberi autoctoni e viene usata come materiale vegetale per tutte quelle situazioni difficili in cui nient’altro potrebbe crescere e soprattutto in cui nessuno ha voluto applicarsi per pensare a qualcosa di diverso, qualcuno, intendo, che conosca le piante ed il loro utilizzo.

Nella mia città, che è fatta di asfalto e cemento, non si piantano alberi: non nel centro storico ovviamente, dove non c’è spazio, ma nemmeno nei nuovi quartieri periferici, dove lo spazio ci sarebbe.

 

 

Tra i nuovi palazzi che spuntano come funghi in mezzo ad un tessuto agricolo ormai dismesso restano lembi di terreni abbandonati a se stessi: a volte diventano orti urbani abusivi, spazi di vita agreste per anziani trapiantati in città, altre volte vengono colonizzati da robinie e ailanti, che nel giro di poco tempo formano piccoli boschi.

 

 

Insignificanti per molti mesi all’anno, a Maggio si ricoprono di grappoli di fiori bianchi e profumati, attirando non solo le api laboriose che vanno a bottinarli, ma anche la nostra attenzione.

 

 

Lungo il bordo della strada, laddove sognerei un profumato viale di tigli che non c’è, mi contento della loro generosa fioritura e penso con gioia a quante api sono ora indaffarate a preparare il miele, a quanti uccelli stanno nidificando in mezzo a quei rami, a quanto suolo sulle scarpate viene tenacemente trattenuto dalle potenti radici di questo albero. Il tutto alla faccia di chi al verde non pensa, di chi non pianta alberi, ma pensa solo a potarli e semmai ad abbatterli perché sono pericolosi, perché sporcano, perché intralciano…

 

Alessia Brignardello

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