Di palo in frasca: appunti di viaggio di un gigantonauta

Di palo in frascaappunti di viaggio di un gigantonauta

  

La mia passione per gli alberi monumentali è nata improvvisamente, vent’anni fa, per naturale contrappasso e felice contrappeso all’arido iato degli studi in giurisprudenza.  Ero in biblioteca e, come al solito, vagavo per gli scaffali in cerca di alternative vitali, quando incappai in quella che, in seguito, sarebbe diventata la mia guida turistica ideale: un’opera in due volumi del Corpo forestale dello Stato dedicata agli alberi monumentali d’Italia. Con tante storie, i dati completi del censimento e, soprattutto, un apparato fotografico di una bellezza quasi erotica.

Sebbene sia nato in provincia di Modena, il mio pellegrinaggio botanico non è partito dall’Emilia, ma da Sacca di Goito, in provincia di Mantova: dove vegetava una quercia da fiaba, unico supersite dell’antico bosco di caccia dei Gonzaga. Dopo mille peripezie, tra retromarce e indicazioni sbagliate, me la ritrovai finalmente davanti, che troneggiava al centro di un campo appena arato: l’eccitazione era tale che lo attraversai di corsa, senza accorgermi che le zolle erano state abbondantemente irrorate di concime naturale. A nulla valsero le docce e quell’odore pungente mi restò addosso per una settimana intera. Iniziava così una sorta di caccia al tesoro, un po’ folle e molto piacevole, che è proseguita per tutto il nord Italia. E non si è ancora fermata.

Il primo albero secolare emiliano che ho visitato è quello al quale, anche per ragioni di contiguità geografica, sono più affezionato: l’Olma, l’ineffabile olmo campestre di Campagnola Emilia (RE), un colosso del quale, purtroppo, mi è toccato annunciare il decesso. Proprio lui, il gigante che sembrava invincibile, ucciso dallo stesso fungo che ha decimato la sua specie: la grafiosi. Forse adesso, che la chioma è quasi totalmente rinsecchita e il patriarca si prepara ad una lunga e triste agonia, qualcuno si renderà conto di che cosa abbiamo perso. E si chiederà come sia possibile che l’albero, da tempo in vendita assieme all’edificio che gli sorge a fianco, non abbia mai trovato un compratore: né un privato, né, soprattutto, un soggetto pubblico (ad esempio la provincia di Reggio Emilia), che avrebbe dovuto intuire le potenzialità, turistiche, simboliche e aggregative, dell’Olma. Ma si sa come vanno le cose, qui da noi: dove troppo spesso la morte rappresenta il terribile prezzo da pagare per un giusto riconoscimento.

Tra i centenari che sono meta dei miei escursioni naturalistiche, un posto speciale spetta anche alla cosiddetta quercia dai cento rami, una rovere possente che sorge sulla cima di un collina nei pressi di Scandiano (RE), circondata da vigneti e incredibilmente intatta, se consideriamo i tre secoli di vita e l’esposizione ai fenomeni atmosferici, inevitabile quando si cresce in quella posizione. Cento rami, ma anche cento modi di godersi la sua secolare presenza: si può proseguire il sentiero e farsi una bella passeggiata tra cascinali abbandonati e dolci rilievi, oppure coricarsi ai suoi piedi e osservare il quieto transito delle nubi, in una sorta di training autogeno ante litteram; se invece avete fame, potete sedervi al tavolo da picnic situato a pochi metri di distanza, per una romantica cenetta con la persona del cuore e gustarvi lo spettacolare panorama che, verso sera, offre l’Appennino reggiano.

Chi avesse voglia di spingersi verso luoghi più impervi, sopra a Fanano (MO), a 1500 metri di altitudine, potrà ammirare  quello che, forse, è l’albero più affascinante della nostra regione: l’antichissimo faggio del lago di Pratignano, famoso per l’architettura, che ricorda il palmo di una mano e sul quale, osservando elementari regole di prudenza e rispetto, si può addirittura salire. Mentre vi fate cullare dalle sue poderose branche, ricordate che sotto di voi si distende un altopiano surreale dove, nel corso dei millenni, si è sviluppato un ecosistema unico, formato da una torbiera in cui le rane (che nel mese di luglio rompono il silenzio del luogo con un gracidare assordante) convivono con le piante carnivore.

Se vi resta del tempo e la vostra fame di bellezza non fosse ancora appagata, sulle pendici della montagna di fronte si trova un altro capolavoro di madre natura e del rispetto umano: l’incredibile acero della Calvanella. Quello che lo distingue dagli altri esemplari della sua specie, è una peculiarità piuttosto evidente: questo acero plurisecolare cresce su uno sperone roccioso. Quando vedrete le proporzioni che ha raggiunto, nonostante l’ambiente ostile, capirete perché è giusto parlare di miracolo della natura e come mai il proprietario – e il suo fucile da caccia, vegliano sulla sua integrità.

Altri alberi imperdibili: naturalmente il cosiddetto Pinone di Pavullo (MO), un maestoso cedro del libano in condizioni perfette, diventato simbolo del Frignano; sempre a Pavullo, la quercia del Caseificio Poggio Castro, una rovere tozza e nodosa, di una bellezza anomala, sotto la quale, si dice, sia stato sotterrato un capretto pieno di monete d’oro; la splendida Sofia di Guiglia (MO), un ippocastano dal portamento inconfondibile, con una chioma che ricorda un gigantesco ombrello; il mastodontico platano di Carpinello (FC), che ha una circonferenza di 6 metri; e il cedro del libano dei giardini di Reggio Emilia: col suo strabiliante e laocoontico intreccio di rami.

 

Carlo Mantovani

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