Giardini La Mortella a Ischia

Giardini La Mortella (Ischia)

3 osservazioni x 2 riflessioni

 

Mi ci è voluto quasi un mese per riorganizzare i pensieri e le sensazioni che si sono affollati nella mia mente dopo la visita a La Mortella. Troppa cose da dire su questo giardino così meraviglioso, ma anche così conosciuto e “blasonato” che non avrei nulla da aggiungere a quanto già si dice sul suo conto.

Premiato al Chelsea Flower Show di Londra nel 2000, premiato come il Parco più bello d’Italia nel 2004, visitato da centinaia di turisti provenienti da tutto il mondo.       Né un racconto né una carrellata di foto possono rendere la sensazione che si prova visitando questo giardino. E quindi a cosa serve un articolo sulla Mortella? Serve per esempio per muovere almeno tre critiche: critiche costruttive, per far pensare chi il giardino lo ha già visto e chi lo visiterà, per aprire un dibattito e una riflessione.

 

 

 

Il giardino è formato da una parte bassa, pianeggiante, quella progettata da Russel Page, ed una parte molto scoscesa, che si arrampica sulla collina, realizzata dalla proprietaria Susana Walton, successivamente. Ci sono due ingressi: uno pedonale da sotto ed uno fornito di parcheggio da sopra.       Io sono entrata da sopra e la prima cosa che ho incontrato è stata una “glorieta” (così recita il cartello affisso in alto), una specie di gazebo affacciato su un laghetto finto fatto di vetri azzurri dai quali spunta un pesce. Si tratta di un dono del paesaggista americano Andy Cao. Non mi è piaciuto o almeno non l’ho capito.

 

 

 

Così come non ho apprezzato le bromeliacee rossastre collocate nella grande e meravigliosa fontana ovale creata da Page nella parte bassa del giardino. Sono decisamente un di più. Mi fanno venire in mente il viso di una bella donna troppo truccato, con troppo rossetto. Stonano. Le cose belle non hanno bisogno di essere truccate, dipinte, aggiustate. La bellezza, l’armonia, parlano da sole con un linguaggio universale.

 

 

     

 

Ultima nota stonata, l’arco che conduce alla pietra che conserva le ceneri del grande musicista: da un lato è rivestito di pietra, dall’altro è lasciato a cemento, come una qualunque opera incompiuta tipica del paesaggio degradato del nostro Paese. L’arco, proprio per il suo significato metaforico così importante, dovrebbe ricevere maggiori attenzioni: nel disegno, nell’idea progettuale, nella scelta dei materiali e nell’esecuzione dell’opera stessa.

 

         Ma l’arco si trova nella parte alta del giardino, quella dove Page non è intervenuto perché realizzata in un secondo momento; l’assenza della sua mano sapiente e potente si avverte anche nei laghetti del coccodrillo, che non esprimono la forza magnetica che invece emana dalle vasche fortemente geometriche della parte bassa, dove la natura vulcanica dell’isola, forte e dura, dialoga con l’architettura lineare, pulita e sobria delle vasche e dei percorsi e contrasta con la morbidezza avvolgente e lussureggiante della vegetazione esotica.

 

   

Da queste considerazioni nasce la prima riflessione: quanto sia importante non solo avere il pollice verde e saper amare e coltivare le piante, ma anche cercare la collaborazione di paesaggisti capaci di darci quell’idea in più che farà del nostro giardino qualcosa di unico e di speciale. Page è stato fortunato ad incontrare una donna eccezionale come Susana Walton, e lei è stata altrettanto fortunata per aver potuto “ingaggiare” un paesaggista del talento di Page.

La seconda riflessione: è bello confrontarsi muovendo critiche costruttive e dirette. Sarebbe ancora meglio se lo potessimo fare in un blog dedicato proprio a questo, ovvero ai giardini sparsi per il mondo e alle osservazioni e riflessioni che dalle nostre esperienze e foto potranno scaturire.

 

Alessia  Brignardello

Botanica paesaggista – AIAPP

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *