“Primavera silenziosa”

  “Primavera silenziosa”

 

“Potranno tagliare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera”  (Pablo Neruda)

 

Le settimane che stiamo vivendo offrono l’occasione, prima di entrare nell’argomento della rubrica[1], di fare una riflessione. Sin dai primi giorni del confinamento (l’ormai noto lockdown), mi sono recato quotidianamente nell’ampio giardino condominiale per una passeggiata sul prato naturale dove, fino a qualche settimana fa, si poteva assistere alla consueta successione di fioriture: viole, margherite, ranuncoli, tarassachi, veroniche, ginestrini . . . E dove, sugli alberi, indaffarati uccelletti, nell’insolito silenzio, cantavano che era un piacere. Un silenzio e un canto che mi hanno ricordato un diverso silenzio legato ad un’assenza di canto, quel silenzio di cui parla Rachel Carson nel suo libro “Silent spring” (Primavera silenziosa), scritto nell’ormai lontano 1962 e di cui avevo letto l’edizione italiana.

Rachel Carson, statunitense, era una biologa e un’accurata divulgatrice scientifica, vissuta nella prima metà del ‘900. “Primavera silenziosa” è il suo saggio più famoso e documentato, di grande impatto sull’opinione pubblica e pietra miliare dell’ambientalismo.

Nell’analizzare i danni ambientali e sanitari dell’uso indiscriminato che si faceva del DDT e più in generale dei pesticidi (“Su zone sempre più vaste del suolo statunitense, la primavera non è ormai più preannunziata dagli uccelli, e le ore del primo mattino, risonanti una volta del loro bellissimo canto, appaiono stranamente silenziose . . .”), la Carson invita ad una profonda riflessione sul rapporto uomo-natura, lanciando un  grido d’allarme sulla degradazione della Terra e contestando la visione di uno sviluppo senza limiti.

Oltre che un grande successo, il libro ebbe il merito di aver contribuito ad accrescere la sensibilità nei confronti dell’ambiente, sensibilità che all’epoca era piuttosto modesta. E fu altresì precursore di una moltitudine di interventi (libri, monografie, ricerche, articoli, relazioni ecc.) sugli stessi temi. E’ d’obbligo ricordare almeno il Rapporto “Limits to growth” (I limiti dello sviluppo), pubblicato nel 1972, che il Club di Roma, fondato da Aurelio Peccei con il coinvolgimento di scienziati di tutto il mondo, aveva commissionato al Massachussetts Institute  of Tecnology (MIT)  e nel quale vennero studiate e simulate le  conseguenze per il pianeta Terra di uno sviluppo illimitato. E, in anni più recenti, il primo e il secondo “Allarme degli scienziati del mondo all’Umanità” pubblicati nel 1992 e nel 2017 dalla UCS (Union of Concerned Scientists, una organizzazione internazionale di studiosi impegnata in campagne per la sostenibilità) e sottoscritti da 15000 scienziati di 184 Paesi.

 

 

Non dimentichiamo che nei trattati di Ecologia, un capitolo importante è proprio quello che si occupa della “capacità di carico” di un ecosistema, cioè la capacità naturale  che quell’ecosistema possiede di produrre in maniera stabile le risorse necessarie alle specie viventi che lo popolano, senza rischi per la sopravvivenza.

Nonostante i numerosi anni trascorsi dalla loro pubblicazione, il saggio di Rachel Carson e il gran numero di successivi documenti, che hanno suscitato un lungo ed intenso dibattito ancora in corso, sono di stringente attualità e oggi inducono a riflettere sul tema del rapporto tra le pandemie (che sono un sintomo della rottura dei delicati equilibri biologici) e gli impatti dell’uomo sugli ecosistemi: dai cambiamenti climatici alla deforestazione, dallo sfruttamento degli animali selvatici al depauperamento della biodiversità, dal consumo di suolo (e perdita di fertilità) alle varie forme di inquinamento ambientale . . .

Dopo questi cenni ai gravi problemi che tormentano il nostro pianeta, passiamo al sereno mondo delle piante con la nota che segue, dedicata ad una delle specie vegetali più prestigiose della flora italiana.

 

L’Adonide curvata: “la bella delle belle”

 

Adonis distorta – Foto di G. Galletti

 

Per la sua rarità ed emblematicità, oltre che per l’esuberante bellezza,è stata scelta dai botanici abruzzesi come pianta simbolo dell’Abruzzo. Sì: “la bella delle belle”. Proprio così la definì il botanico svizzero Emile Levier, dopo averla osservata in una delle sue esplorazioni sui monti dell’Abruzzo verso la fine del 1800.

Questa Adonide, scoperta nel 1830 sulle sconfinate pietraie di Monte Amaro nel massiccio della Majella da un altro illustre botanico, Michele Tenore, di origini abruzzesi, e da questi descritta e denominata con il binomio latino di Adonis distorta (famiglia Ranunculaceae),  possiede davvero un grande fascino.

E’ una pianta erbacea perenne alta fino a una ventina di centimetri, con fusto ascendente e  grossa radice rizomatosa. Le foglie basali sono bi-tripennate, strettamente divise fino alla base in lacinie lineari e sottili; quelle cauline sono simili ma di ridotte dimensioni. I fiori, solitari, sono formati da una corolla di 10-18 petali, di uno splendente colore giallo dorato.  I frutti sono degli acheni rugosi, glabri, con un becco ricurvo all’apice. Fiorisce da giugno ad agosto.

E’ endemica dell’Appennino centrale, dove è presente sulla Majella, Gran Sasso, Sirente, Monti della Duchessa e Monti Sibillini. Vive sui brecciai di altitudine tra i 2000 e 2500 m s.l.m. La sua importanza deriva, oltre che dalla rarità, anche dal suo straordinario adattamento ad un ambiente, quello dei ghiaioni e dei macereti di alta montagna, molto severo.

Specie a rischio di estinzione, è inserita in varie categorie di tutela: Direttiva Habitat 92/43 CEE; Convenzione di Berna; Liste Rosse delle Piante d’Italia e Liste Rosse Regionali; Legge della Regione Abruzzo sulla tutela della flora.

Il nome del genere, Adonis, istituito da Linneo, è dedicato al mito di Adone, simbolo della bellezza maschile giovanile, uno tra i più complessi miti della classicità.

Nato dal rapporto incestuoso fra Cinira, re di Cipro, e sua figlia Mirra, Adone, allevato dalle Naiadi, con la sua bellezza fece innamorare Afrodite, dea dell’amore, ma anche Persefone, dea degli Inferi. Durante una battuta di caccia Adone fu ucciso da un cinghiale inviato da Ares, dio della guerra violenta, geloso amante di Afrodite. Zeus, impietosito, concesse che Adone passasse metà dell’anno negli Inferi con Persefone e l’altra metà sulla Terra con Afrodite. E’ evidente il significato del  mito: la morte e la rinascita di Adone incarnano il ciclo stagionale della natura, che muore in inverno e si risveglia in primavera.

 

Tiziano Vecellio – Venere e Adone (Madrid – Museo del Prado)

 

Facciamo in modo, anche noi, di risvegliarci, oltre che liberi dalla pandemia, anche temprati da una maggiore, consapevole sensibilità ambientale, personale e collettiva.

[1] La rubrica si occuperà di brevi appunti raccolti qua e là nel sorprendente mondo delle piante, così come un tempo si raccoglievano le spighe disperse nei campi, dopo che il grano era stato raccolto.

 

Gianfranco Pirone

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *